Risulta a volte un po' arduo parlare (o scrivere) di argomenti per i
quali, nel linguaggio corrente, non esistono termini specifici
condivisi.
La difficoltà è lampante in molti casi, ma ad essa si aggiunge una
sensazione di fastidio, quando i termini esisterebbero, ma vengono
spesso fraintesi, usati in modo erroneo o scambiati tra loro.
Credo quindi che sia opportuno affrontare il problema una volta per
tutte e tentare di definire alcuni semplici vocaboli chiave, per
poterci dedicare, poi, serenamente agli altri argomenti che in questo
blog mi piacerebbe venissero trattati.
Con il termine Scure si definisce un attrezzo, od un'arma,
dotati di lungo manico da maneggiare a due mani, su cui è fissata
una testa, anche detta ferro, fornita di tagliente parallelo
al manico.
L'accetta è un attrezzo di dimensioni ridotte, ha un manico
pensato per essere maneggiato con una mano sola ed il filo del
tagliente è sempre parallelo al manico.
L'ascia, quali che siano le sue dimensioni, è un attrezzo
immanicato in modo da presentare il tagliente in posizione
perpendicolare al manico: come una zappa, per usare
un'immagine inappropriata, ma efficace.
Questi tre termini, corrispondenti ad altrettanti strumenti,
piuttosto diffusi, vengono continuamente mescolati tra loro ed usati,
per lo più, in modo approssimativo.
Si potrebbe tranquillamente obiettare che il linguaggio è in
continuo mutamento e che la sua fluidità permette di descrivere
realtà nuove, anche ricollocando e ridefinendo il significato di
termini obsoleti e che, quindi, non occorre essere così rigidi.
Il punto, senza andare a scomodare discorsi di semantica troppo
complessi, a mio avviso è semplice: in ogni cultura può esistere
solo ciò che in quella cultura ha un nome atto a distinguerlo, se la
parola sparisce, l'oggetto diviene culturalmente “invisibile”.
I filosofi del linguaggio, affrontando il tema con le loro varie
teorie, hanno prodotto il classico esempio dell'Unicorno.
Sebbene esso non esista in natura, ha una precisa identità data
dalle descrizioni presenti in leggende e racconti tipici della
nostra civiltà .
Basta, quindi, nominarlo per cerare nella testa dell'interlocutore
l'immagine, ben precisa, di un essere dotato di alcune
caratteristiche canoniche: si tratta di un quadrupede, è snello,
bianco e porta un corno spiraliforme in fronte.
Quindi, se nomino un unicorno, evoco un'immagine ben precisa, ma se
tento di descrivere un'ascia, nella testa della maggior parte delle
persone, si materializza l'immagine dell'attrezzo sbagliato.
Trovo che tutto ciò sia, oltre che sconcertante, abbastanza comico,
se non grottesco.
La confusione sul vocabolo è quindi da considerarsi come il sintomo
della prossima scomparsa delle asce che non siamo più in grado di
distinguere dalle scuri?
Se così fosse, allora la difesa dei termini che ho descritto e del
suo corretto utilizzo avrebbe il sapore di un'autentica crociata,
un'epica battaglia da intraprendere in difesa di quegli aspetti
culturali minacciati dal fantomatico “nulla che avanza” (lui sì
che ha un'identità precisa nell'immaginario di tutti noi!).
Questo dovrebbe bastare ad indurre molte, tra le persone che conosco
e che stimo essere appassionati cultori di tradizioni e storia, a
correggere il proprio vocabolario per favorire una 'sì nobile causa.
Ci sono però altri elementi de tenere in considerazione in quanto la
confusione che in tempi recenti ha coinvolto questi termini è un
fenomeno tutto italiano.
In altri idiomi la distinzione tra i vari significati resta evidente
e chiara, del resto è innegabile che attrezzi come le asce (adze per
chi volesse compiere una ricerca in rete in lingua anglosassone)
vengono prodotte e vendute tutt'ora e ci sono ditte che continuano a
sviluppare e proporre nuovi modelli e prototipi ad un mercato che,
seppur di nicchia, esiste ed è tutt'altro che in agonia.
Dunque occorrerà mettersi l'anima in pace: non esiste alcuna
obsolescenza che dall'esterno minaccia di far scomparire i nostri
attrezzi e non occorre intraprendere battaglie contro quei mulini che
girano inesorabilmente spinti dalla lieve brezza costantemente
prodotta dallo scorrere del tempo.
Forse la confusione è dovuta solo alla nostra pigra tendenza a dar
troppo peso alle parole, per esempio, del simpatico Ghimli che,
ostentando fermezza, dichiarava la sua solidarietà a Frodo, nella
pellicola “Il Signore degli Anelli”: “Hai la mia ascia!”.
Forse il doppiaggio di pellicole straniere per troppo lungo corso ha
prediletto il vocabolo che meglio si confaceva al movimento labiale
degli attori, disdegnando una traduzione più precisa.
Forse
è un problema di interpretazione
ancor più esteso che parte dal “disseppellire l'ascia di guerra”
dei nativi americani, attraverso “you'll find my favourite axe”
dei Pink Floyd” o il “she took an axe” dei Flotsam And
Jetsam, per arrivare ai giorni
nostri a creare scompiglio.
Certo è che nessuna minaccia confonderebbe, sbiadendole, le nostre
tradizioni, se noi, per primi, imparassimo a prendercene cura, non
solo a parole, ma proprio dando loro il giusto peso quando le
utilizziamo.