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Viduquestla

Volendo replicare una seduta da collocare in ricostruzioni ambientali italiane che possano spaziare dal XIV al XV secolo, abbiamo deciso di far riferimento ad un manufatto originale, riconosciuto ed identificato grazie all suo illustre proprietario.
La sedia del petrarca originale a confronto con la nostra replica

Mi riferisco ad una sedia conservata ancor oggi nella casa del famoso poeta ad Arquà Petrarca in provincia di Padova.
L'abitazione, che sembra essere stata donata al poeta da Francesco I da Carrara, fu utilizzata dal Petrarca dal 1369, quando decise di trasferirsi nel paese di Arquà sui Colli Euganei, fino alla sua dipartita; in questa sede dunque egli trascorse i suoi ultimi anni di vita.
Già in epoca tardo medievale, dopo la morte del poeta, l'abitazione divenne meta di pellegrinaggi di scrittori ed ammiratori che vi si recavano in visita in segno di devozione.
Grazie a questo attaccamento e alla successiva nascita di una tendenza conosciuta come “moda petrarchesca”, nell'abitazione sopravvivono, considerati da secoli alla stregua di oggetti di culto, due arredi originali del periodo : un mobiletto ad ante ed una sedia.
L'appartenenza di quest'ultima ad una realtà territoriale prettamente nostrana, valorizza il nostro progetto di replicarla utilizzando attrezzi di tradizione, proprio per lo stretto legame che intercorre tra il manufatto e la storia locale.
Il reperto è stato abbondantemente studiato, ed è quindi possibile, attraverso diverse pubblicazioni, più datate o recenti, reperire i dati necessari alla realizzazione di una replica piuttosto precisa.
La sedia del Petrarca, infatti, si trova già rappresentata nel “Petrarca redivivus” di Jacopo Filippo Tommasini del 1635 dove è menzionata come “sella Francisci Petrarcae”.
La seduta nel corso dei secoli, proprio per la devozione che le è stata riservata, deve aver subito diversi interventi e riparazioni, eseguiti nel rispetto della sua struttura originale, tanto che pochi elementi sembrano essere ancora appartenenti all'impianto originale.
Essa è stata anche duplicata, in passato, in occasione della Mostra Regionale di Roma del 1910, offrendo la possibilità di allestire per quell'occasione una sala “che rievocasse le glorie storiche ed artistiche di Padova”, come testimoniato nel libro di Giovanna Baldissin Molli “il Poeta e il Marangone, L'Artigianato Padovano al servizio di Petrarca e del letterato umanista” che alla storia della sedia dedica ampio spazio.
Si tratta indubbiamente di un prodotto d'eccellenza della falegnameria medievale veneta per cui, consapevoli dei nostri limiti, abbiamo optato per alcune semplificazioni, soprattutto inerenti all'impianto decorativo.

I rosoni intagliati della sedia originale sono stati fonte di spunto per i decori che abbiamo eseguito
Il nostro intento, infatti, è quello di rappresentare una seduta più spartana e robusta che dovrà essere utilizzata in diversi contesti anche da uomini in armi; per questo motivo abbiamo limitato gli intagli decorativi a pochi elementi, pur prendendo spunto dagli elaborati intagli originali.
Per garantire la robustezza necessaria a sorreggere uomini in armatura abbiamo reputato che il faggio fosse l'essenza più adatta alla nostra replica, tale legno per di più si riscontra in diversi manufatti rinascimentali del genere, di origine italiana.
Il tavolame in faggio “evaporato” è stato tagliato in opportune porzioni ricorrendo all'utilizzo di una sega troncatrice elettrica, una delle poche concessioni moderne usate nei vari passaggi lavorativi, oltre all'impiego di un trapano elettrico e di colla con caratteristiche certificate “D3” di produzione industriale.
I vari pezzi, quindi. sono stati piallati a mano ricorrendo a passaggi successivi di una pialla sgrossatrice, prima, e di uno sbozzino con lama caratterizzata da curva più morbida in secondo luogo.

La piallatura delle parti in legno di faggio

I perni di articolazione che permettono alla sedia di richiudersi e le modanature arrotondate dello schienale sono stati lavorati con scalpelli e coltello a due manici.

La sbozzatura degli elementi decorativi dello schienale
Gli incastri (mortase cieche, in questo caso) delle vari parti da assemblare in modo definitivo sono stati realizzati, successivamente, con l'ausilio di coltelli da intaglio, bedani e sgorbie.

Realizzazione delle mortase cieche
I braccioli, che nella nostra versione sono smontabili per permettere di ripiegare la seduta in occasione del suo trasporto, sono stati sagomati con scuri da squadro ed ascia, prima di essere rifiniti con pialle (sbozzini) e coltello a due manici.

La sbozzatura dei braccioli

La rifinitura con coltello a due manici
Abbiamo infine optato, come già detto, per abbellire gli schienali con semplici decori intagliati a punta di coltello.


Alcune fasi dell'intaglio decorativo eseguito a punta di coltello
La finitura delle superfici è stata realizzata con olio di lino cotto.

Ecco alcune immagini del risultato finale:


Visione di insieme e particolari nei quali è possibile apprezzare l'effetto dato alla superficie dalla lavorazione manuale

Per avere maggiori informazioni riguardo le nostre attività, si può visitare il nostro sito web: http://www.viduquestla.it/
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Dopo il mio ultimo post sulle scuri (leggi qui), mi sono stati fatti notare alcuni errori o eccessive generalizzazioni da me commesse che segnalo, per correttezza, in questo nuovo post.

Il “dibattito” che si è aperto a riguardo mi ha fatto piacere e trovo onesto l'intervento di chi, ravvisati alcuni miei errori, si è premurato di avvisarmi e rendermi partecipe della cosa.

Innanzitutto mi si è fatto notare che la breitbeil è una scure da carpentiere ed il suo equivalente francese sarebbe una “hache à équarrir” (o “hache à blanchir”) e non la doloire.
Anche la dolaora italiana (che è accostabile alla sua omonima d'oltralpe) dunque non sarebbe da paragonare alla scure da squadro tedesca.

Se compararle, pertanto, è un azzardo, risulta sicuramente erronea la dichiarazione che si tratti di utensili atti a svolgere lo stesso scopo, dato che la dolaora, a quanto pare è documentabile come attrezzo da bottaio e non propriamente da carpentiere.

Utilizzo di una dolaora
Il mio interlocutore nutre perplessità anche riguardo al fatto che nell'esemplare di lama italiana da me descritto il filo così dritto si presenti nella sua conformazione originale (in effetti potrebbe essere il risultato di successive molature che ne hanno modificato la forma), resto comunque dell'idea che quest'ultimo particolare sia da abbinare alla forma della lama curva ed alla nervatura che ne garantisce stabilità.

Al momento non ho purtroppo documentazione sufficiente a dimostrare la mia tesi, ma ho già nuove informazioni che sto approfondendo... quindi a riguardo prevedo nuovi sviluppi!


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Breitbeil è il nome generico con cui sono conosciute in lingua tedesca le scuri da squadro.
Il significato della parola “scure larga” trova corrispondenza nel termine anglo-sassone “broad axe” col quale vengono spesso designati simili attrezzi.
Dopo aver analizzato (leggi qui) le caratteristiche che accomunano questi affascinanti strumenti (mi concederete di poter affermare che l'appeal di una scure è maggiore rispetto a quello che può avere una pialla), iniziamo un percorso che analizza le varie differenze strutturali esistenti tra tipologie appartenenti a tradizioni diverse.
Oggi metterò a confronto, quindi, la classica scure da squadro di origine austriaco – tedesca con quella di tradizione italiana, che, come ho scoperto da poco, era denominata anche Dolaora.
Da questo “derby” tutto europeo restano escluse per il momento le Doloire francesi delle quali, non avendo esperienze dirette, non posso dire molto, se non ripetere concetti palesi che chiunque può verificare in proprio con una semplice ricerca in rete.
Stiamo parlando quindi di strumenti atti allo stesso scopo, ma appartenenti a tradizioni territoriali differenti; si tratta di prototipi base che spesso possono aver ispirato fabbri ed artigiani a sperimentare diversi possibili connubi, nel difficile tentativo di generare utensili che, unendo i pregi di entrambe le tipologie, fossero in grado di superare le prestazioni offerte dagli originali di riferimento.
Ecco quindi i nostri contendenti:

Alcune scuri a confronto: sulla sinistra due esemplari di breitbeil austriache, a destra una dolaora italiana.
Come si può intuire l'aggettivo “larga” che designa queste lame si riferisce alla lunghezza del filo: la testa di entrambi gli attrezzi infatti è conformata in modo da presentare una lunghezza del tagliente considerevole, unendo la possibilità grazie ad un'apposita “insenatura” di impugnare il manico in posizione molto avanzata, praticamente dietro al filo stesso della lama.
Se la lunghezza del manico permette comunque una buona leva, che consente di sferrare colpi di moderata intensità, questa particolarità dà maggior controllo, tanto da concedere la possibilità di lavorare virtualmente senza slancio d'inerzia, solo col movimento del polso.
A detta di molti la forma triangolare delle teste tedesche (a sinistra nella foto) le rende esteticamente più aggressive ed accattivanti... forse la pensavo così anch'io tempo fa, poi mi sono ravveduto, un po' per campanilismo italico, un po' per la maggior rarità degli esemplari nostrani, un po' perché sedotto dalla loro maneggevolezza.
Al primo impatto, infatti la dolaora sorprende per la sua leggerezza quasi imbarazzante, la larga superficie rettangolare della lama si estende mantenendo uno spessore costante, fatta eccezione per l'occhio di immanicatura ed una costolatura di rinforzo, parallela al tagliente.
E che si tratta di uno strano giocattolo lo proclama anche l'occhio che consente il fissaggio del manico in legno che è di sezione trapezoidale!

Questa immagine permette di confrontare gli spessori del metallo forgiato di alcune scuri. A sinistra una breitbeil ed a destra una dolaora, si può notare l'occhio del manico di forma trapezoidale e la dimensione ridotta del metallo che lo forma.

Ad aumentare la seduttività delle colleghe tedesche, sull'altro versante, contribuisce sicuramente la linea del filo della lama, il cui bisello disegna un leggero ed armonioso arco che converge verso la punta affilata.
La forma della loro lama così particolare le ha spesso fatte abbinare al termine goosewing (ala d'oca) anche se erroneamente in quanto la vera scure goosewing ha una forma molto più sbilanciata in avanti e la lunghezza del filo si sviluppa tutta oltre al punto di presa più avanzato.
La forma apparentemente più monotona della leggera lama rettangolare italiana, nasconde però una seconda faccia: basta infatti ruotarla e guardarne il profilo per apprezzarne il concetto costruttivo tridimensionale.
Mentre il profilo delle scuri tedesche è adagiato su un piano perfetto, la loro collega italiana, apparentemente piatta e priva di attrattiva, si sviluppa infatti in leggera profondità grazie ad una curva mantenuta in posizione dalla costolatura di rinforzo di cui ho parlato poc'anzi.

La vista frontale della lama di una dolaora permette di apprezzare la lieve curvatura che le è stata data.
Si tratta di un particolare essenziale perché quando il filo lavora, per meglio staccare i trucioli mantenendo il controllo sulla distanza di fenditura, le due estremità della lama devono sempre risultare libere (non immerse nel legno che si sta asportando).
Questo succede in entrambi i casi.


L'ombra proiettata dalla luce radente su una superfice piana permette di apprezzare le curve di lavoro dei due utensili.

Il filo del tagliente sulle lame straniere, però, è formato da un bisello di forma convessa e la sua affilatura risulta pertanto un'operazione abbastanza semplice, mentre sulla lama italiana il bisello è concavo e mantenerlo affilato richiede sicuramente qualche precauzione in più.
Per meglio operare in fase di molatura in questo caso occorre rimuovere l'ingombro del manico, come si suol fare con le asce, e da qui deriva la particolare immanicatura con occhio trapezoidale e cuneo removibile.
La lama della dolaora inoltre si arricchisce, rinunciando ad ogni pretesa di aggressività estetica, di una graziosa bombatura sulla parte sommitale, particolare che garantisce un ulteriore punto di presa, come fosse il corno di una pialla, permettendo di dedicarsi all'occorrenza anche a lavori di maggior precisione.

Penso di aver concluso questa veolce disamina delle differenze più distintive delle due scuri contendenti...  voi, da che parte state?

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