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Viduquestla

Seppur ci sia capitato, in altre occasioni, di realizzare telai ed altri strumenti da tessitura, non possiamo certo dirci degli specialisti in materia.
L'esecuzione di questo telaio a quattro licci ha rappresentato pertanto, per noi, una sfida di non poco conto.
Si tratta, infatti, di un telaio completo, molto versatile, che si adatta a lavorazioni differenti. 

Visione d'insieme del telaio realizzato
Esso è pensato per risultare adeguato ad una tessitura “evoluta”, se non professionale e la sua compattezza con le dimensioni ridotte, che lo rendono anche adatto al trasporto, rappresentano la parte più complessa del progetto.
Per realizzare il telaio ci siamo affidati al testo “Wheels and looms. Making equipment for spinning and weaving” di David Bryant che dedica ampio spazio ad un telaio simile, pubblicandone i prospetti con misure e dettagli.
Noi volevamo però mettere in risalto l'arcaicità dello strumento e per farlo la nostra consueta tecnica di lavorazione manuale non ci sembrava sufficiente; abbiamo voluto pertanto eliminare dall'intera struttura, pur preservandone la funzionalità, viti, bulloni, galletti etc, sostituendoli con incastri, mortase, tenoni e cunei.

Particolare della ruota dentata che permette di bloccare il subbio
Naturalmente questa operazione ha richiesto diverse modifiche a proporzioni, spessori e dimensioni, e ci siamo presto resi conto che il modificare un semplice parametro comportava il rimettere in discussione tutto l'assetto dinamico del congegno, proprio per le ridotte dimensioni in cui le varie parti si trovavano a dover funzionare.
La cosa ha comportato diversi assemblaggi provvisori con prove dinamiche delle varie parti ed ha richiesto un lavoro un po' più lungo del previsto che ha messo alla prova, in alcune occasioni, anche la pazienza di Erika, notoriamente di molto superiore alla mia.
Alla fine ne è risultato il telaio che si può apprezzare in queste immagini.
La struttura rigida in legno di faggio è dotata di due subbi in legno di frassino, regolabili tramite ruote dentate in faggio con levette d'arresto in acero.
Questo supporto regge un castello predisposto per il montaggio di quattro telai rigidi (smontabili) per i licci formati da maglie di filo.

Particolare dei telaietti con le leve che ne permettono il sollevamento
Le levette che permettono di articolare i telai sono dotate di sistema di arresto che li blocca in posizione alzata; tale sistema consente di lavorare sui telai con un passo di 10 cm.
Il pettine battitore col quale si può regolare la compattezza del tessuto è composto da quasi 300 lamelle in legno di faggio che ne formano i denti permettendo di montare tessuti con più di 250 fili di ordito.
 
Aspettando l'occasione di vederlo in funzione e raccogliere le considerazioni dell'artigiano che lo metterà in opera, pubblichiamo alcune fasi di lavorazione alle varie parti del telaio.

Lavorazione del subbio con coltello a due manici
Arrotondamento delle parti su cui scorre l'ordito mediante sponderuola
Prova dell'escursione delle leve e del meccanismo di arresto
Assemblaggio del pettine battitore
Prova di realizzazione delle maglie dei licci
Se vuoi sapere chi siamo, o approfondire altri aspetti della nostra attività, visita il nostro sito: ViduQuestla
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Dopo aver visto come scegliere il legno adatto alla realizzazione di uno scudo (leggi qui) vorrei affrontare altre considerazioni ed ipotesi relative alla sua esecuzione.

Replica di scudo longobardo realizzata interpretando i resti della tomba N° 79 di Nocera Umbra
Le questioni principali da risolvere, in base all'interpretazione dei resti di originali ritrovati, sono relative allo spessore del disco di legno ed alle dimensioni del foro centrale che permette di alloggiare l'impugnatura.

Sia i frammenti di legno che i chiodi pervenutici, infatti, farebbero supporre la presenza di una sottilissima “membrana” di legno che forma la struttura del disco.
La disposizione delle fibre che si è ottenuta ricavando le tavole per fendibilità come spiegato nel primo post che ho scritto sull'argomento, tuttavia, porta, come conseguenza della diminuzione dell'umidità del legno, un sostanziale calo di spessore delle tavole.
Dunque se immaginiamo che all'atto della sua fabbricazione e dell'utilizzo lo scudo fosse composto da legno “verde” o non completamente stagionato (Il legno inizia a calare di dimensione solo dopo un anno dall'abbattimento), possiamo dedurre che lo spessore in origine fosse significativamente maggiore rispetto ai reperti giunti fino a noi.
Anche i rilievi sui chiodi ribattuti del resto, potrebbero generare degli errori d'interpretazione come si può evincere dall'immagine.

Esempi di chiodatura ribattuta
Quindi, anche se non di molto, ho ritenuto conveniente e plausibile realizzare gli scudi che ho costruito con uno spessore leggermente maggiore rispetto a quanto i reperti lascerebbero intendere.

Credo che la lunghezza delle imbracciature metalliche ritrovate non si possa considerare esaustiva per determinare le effettive dimensioni totali degli scudi originali che probabilmente venivano realizzati basandosi sulle proporzioni del fruitore finale. 

Alcune repliche di imbracciature pervenutici con il relativo manico, in legno duro
Da esse potrebbero trarsi al massimo conclusioni relative al diametro minimo possibile, ma tale misura in fondo, non è un dato significativo quanto altre deduzioni alle quali questi reperti possono condurre, come per esempio la forma e dimensioni del foro centrale e dell'impugnatura stessa.

In molti ritrovamenti nelle imbracciature di metallo si riscontrano i fori più centrali, praticati nel metallo per le chiodature di fissaggio, molto prossimi tra loro; questa stretta vicinanza e la loro collocazione così adiacente al centro mi ha indotto a credere che le chiodature passanti per quei fori partecipassero al fissaggio tra imbracciatura, maniglia e disco (collegando assieme tre principali elementi strutturali di cui lo scudo è composto).
I buchi del resto risultano realizzati nella parte del supporto visibilmente schiacciata ed allargata, il che suggerisce una conformazione pensata, non solo per aumentare la superficie d'appoggio sul legno nel punto della chiodatura, ma per accogliere, completamente in appoggio, la maniglia.
Risulta da subito evidente, d'altro canto, che gli umboni rinvenuti si possono prestare a coprire un foro di diametro molto maggiore rispetto alla circonferenza tracciabile all'interno dei due fori dell'immanicatura; si tratta, quindi di capire come tutte queste parti fossero assemblate.
Un altro elemento rilevato in particolare sul reperto di Collegno (Tomba 53) si è dimostrato utile nell'interpretazione del manufatto: sono state rinvenute delle tracce di fibra lignea sul metallo, parallele al senso dell'imbracciatura, che hanno portato alla conclusione che l'immanicatura vera e propria, realizzata in legno duro, fosse a contatto col metallo per soli 10 centimetri nella parte centrale dell'imbracciatura stessa.
Mi risulta difficile immaginare che venisse lasciato spazio libero tra manico e disco, rinunciando all'opportunità di rendere l'impugnatura ben solidale con lo scudo, così come mi risulta difficile credere che il foro centrale fosse di diametro così piccolo da risultare scomodo all'utilizzo in quanto realizzato troppo stretto per far passare agevolmente la mano che impugna lo scudo.
Tutti questi particolari mi hanno portato, quindi, ad ipotizzare un'immanicatura in legno duro che, pur essendo scostata dal metallo nei punti di chiodatura (nella parte che supera i 10 cm centrali, dati dal contatto verificato) finisse per costituire, attraverso degli incastri a metà spessore, un elemento di continuità con la restante struttura dello scudo, partecipando alla solidità dell'intero assemblaggio.

Sezione della stratificazione delle varie parti dedotta dai rilievi sui reperti metallici
Tale tipo di composizione, dedotto da misure e figure riscontrabili sui reperti in questione, trova conferma, con forme più o meno simmetriche, anche in diversi ritrovamenti di scudi vichinghi, in cui la parte lignea si è conservata e che possiamo considerare coevi a quelli longobardi seppur appartenenti a culture differenti.
All'atto pratico ho potuto constatare che, una volta chiuse le linguette dell'imbracciatura metallica che avvolgono la maniglia in legno, si viene a creare una struttura estremamente solidale anche prima di effettuare la chiodatura dell'imbracciatura e dell'umbone, che una volta effettuate premono sull'incastro ribadendone ulteriormente la solidità.

Entrambe le superfici dello scudo sono state ricoperte di pelle come suggerito dall'analisi dei ritrovamenti.

Finite queste considerazioni preliminari, ecco alcune immagini di alcune fasi di lavorazione.

Con cunei mazza e scure si ottengono gli spicchi da un'adeguata porzione di tronco.


Le tavolette vengono lavorate con scure “da lato”, prima e pialla, poi.

Il disco formato dalle tavole così ottenute presenta le linee di accrescimento in testa perfettamente ortogonali alla superficie circolare

Particolare del disegno del foro e della maniglia alle estremità della quale devono ancora essere realizzati gli incastri “a metà spessore”

L'impugnatura, con incastri, provata nella sua sede

Visione d'insieme con prova dell'imbracciatura le cui linguette si devono chiudere sull'impugnatura

I chiodi ribattuti sull'impugnatura

Puoi visionare altri nostri lavori accedento alla nostra pagina facebook o accedendo al nostro SITO WEB!
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Mi è capitato, in diverse occasioni, di ricostruire la struttura lignea di scudi longobardi, tentando di immaginare la composizione di parti completamente mancanti, a partire dall'analisi dei reperti metallici ritrovati.
In questo primo post dedicato all'argomento riporto alcune riflessioni e ipotesi dedotte in fase i realizzazione, durante il lavoro sperimentale svolto.

Una prima considerazione basilare riguarda la tipologia del legno da utilizzare; non mi riferisco unicamente alla varietà botanica dell'essenza, della quale spesse volte si hanno precisi riferimenti storici, ma soprattutto al tipo di taglio impiegato per il lavoro, la scelta del quale, spesso, determina risposte alle sollecitazioni e caratteristiche completamente differenti.

La maggior parte delle tavole di legno in commercio, oggigiorno, sono ottenute in segheria attraverso il taglio longitudinale di tronchi; esse, a causa della leggera conicità naturale del fusto, presentano, nel migliore dei casi (quando il tronco d'origine è perfettamente rettilineo), venature leggermente inclinate rispetto alla superficie della tavola segata.
Questa caratteristica crea un disegno sulla faccia della tavola stessa che le conferisce lo specifico nome con cui viene riconosciuto questo genere di taglio: Fiammata.

Schema esemplificativo dei tagli paralleli che permettono di ottenere una tavola fiammata

La tavola fiammata è soggetta a deformazioni sistematiche che fanno sì che delle sue facce si possa riconoscere un dritto ed un rovescio, ma questo aspetto, al momento, non rappresenta il problema più significativo.
Essendo la superficie dello scudo, però, composta da tavole affiancate c'è un particolare difetto, dato da questa deformazione del legno, che occorre, a mio avviso, tenere in considerazione.
In pratica la diminuzione della dimensione, dovuta alla costante perdita di umidità a cui il legno è soggetto, riscontrabile in testa ad una sezione di materiale nell'arco d'anello di crescita dell'albero, è maggiore in senso tangenziale rispetto a quello radiale: questo si può tradurre in una perdita di ortogonalità delle superfici che costituiscono lo spessore della tavola o maggior diminuzione dello spessore a seconda di come le fibre, all'interno della tavola sono orientate.
Come si può vedere nello schema riportato, questo genere di deformazione può portare a difetti che indeboliscono la struttura, quali crepe, alterazioni di forma o scollature.

Perdita di ortogonalità del taglio e problemi derivanti da un'incollatura errata

Possiamo identificare, quindi, due diversi modi di agire per risolvere il problema.
Il primo prevede, in fase di assemblaggio, di tener conto della direzione delle venature, alternando sullo stesso piano, il dritto ed il rovescio delle tavole, una volta tagliate longitudinalmente a metà... si verrà quindi ad avere la situazione rappresentata in figura.
 
Alternando dritto e rovescio sullo stesso piano la perdita di ortogonalità suille tavole tende a compensarsi

Per una ricostruzione rigorosa, però, va tenuto presente che le tavole “fiammate” hanno iniziato ad essere impiegate con maggior frequenza solo con l'utilizzo sistematico di segherie idrauliche verso la fine del XIV secolo.
Potrebbero sicuramente essere documentate segherie di questo tipo in epoche precedenti e questa operazione di taglio potrebbe essere stata realizzata anche con attrezzi manuali, ma si tratta di un lavoro lungo, faticoso e complesso e di fatto poco utilizzato per quanto iconograficamente documentabile fin dall'epoca classica, per questo occorre tener presente alcune considerazioni.

Se esistevano segherie idrauliche già in epoca alto medievale è un dato di fatto che ai primordi il sistema di avanzamento del tronco verso la lama era poco funzionale e per questo vennero poco utilizzate prima del loro graduale perfezionamento.
Anche l'utilizzo di una sega manuale da parte di personale competente e preparato, del resto, si è dimostrato essere un lavoro poco pratico necessitando di tempi di lavorazione cinque volte maggiori rispetto alla “spiccatura” delle tavole per fendibilità.
Tutti questi ragionamenti ci inducono a considerare l'utilizzo di semilavorati fiammati non consono e storicamente poco attendibile in confronto all'ipotesi di recuperare con quest'ultima tecnica il materiale in maniera autonoma.

“Spiccare” le tavole per fendibilità, infatti, è una pratica più veloce da eseguire a mano ed è compatibile con le attrezzature e le tecniche dell'epoca.
Essa porta a risultati sicuramente più adeguati alla realizzazione di scudi anche per altre considerazioni che, aggiungendosi a quelle fin qui esposte, rendono senza alcun dubbio preferibile l'utilizzo di tavole ottenute con questa tecnica manuale.

Schema esemplificativo di tavole ottenute da spicchi di tronco

Le tavole realizzate fendendo un tronco lungo le sue fibre, presenteranno, infatti, le venature del legno perfettamente parallele alla loro superficie lungo tutta l'estensione, riducendo il rischi della presenza di punti deboli e linee di frattura, causate da venature trasversali, alla superficie dello scudo.
Inoltre, poiché le assi si ottengono pareggiando gradualmente adeguati spicchi di tronco per portarli allo spessore desiderato, sulla superficie di testa si otterranno le linee, formate dagli anelli di accrescimento, perfettamente perpendicolari alla superficie principale delle tavole stesse.

La configurazione delle fibre, da cui prende il nome questa tipologia di taglio, è quella che garantisce una risposta elastica più efficiente: si tratta del taglio detto “di risonanza” o taglio in blocco.
Questa particolare disposizione delle venature eliminerà, inoltre, le deformazioni angolari causate dal movimento del legno durante gli sbalzi di umidità di cui abbiamo parlato, favorendo la stabilità delle incollature tra le differenti tavole.
L'utilizzo di “tavole in blocco” per questo genere di lavori, inoltre sembra trovare conferma anche dal confronto con ritrovamenti di frammenti di scudo dell'epoca.

Una volta affrontati i discorsi relativi alla scelta del materiale più idoneo sarà possibile proseguire con i temi relativi alla ricostruzione dello scudo. 

Continua a seguirci!




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