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Viduquestla

Una seconda variabile che permette il controllo della propria azione durante la lavorazione manuale del legno (leggi qui la premessa) è data dall'affilatura dell'utensile che deve essere quanto più precisa possibile.
Risulta importante, da questo punto di vista, sia il materiale che compone la lama che la tecnica usata per affilare.
La molatura non deve essere considerata una pratica di manutenzione straordinaria nei confronti dei taglienti, ma è, al contrario, un'operazione fondamentale che deve potersi svolgere ripetutamente durante il periodo di utilizzo dei vari arnesi, il cui filo, per quanto resistente, tende a perdere d'efficacia, usurandosi con una certa frequenza durante l'uso.
Per arrotare si usano pietre con grana diversificata in base al grado precisione che ci si aspetta dall'utensile in questione.
I blocchetti appositamente realizzati per questo scopo necessitano di essere lubrificati, non tanto per scopi di raffreddamento, quanto piuttosto per evitare che la sottile limatura di metallo, prodotta per sfregamento, finisca per depositarsi nelle porosità della pietra, facendo perdere d'efficacia la superficie levigante.

Operazione di affilatura di una testa di scure
Come lubrificante si può usare sia olio che acqua a seconda del tipo di pietra che si utilizza.
Bastano poche gocce poste sulla superficie piana di pietra sulla quale si andrà a strofinare ripetutamente, con l'inclinazione voluta, la lama da affilare.
Dopo l'uso la pietra va ripulita e conservata in modo da preservarne le superfici da polvere ed impurità.
In base a quanto riportato in inventari dei possedimenti dei falegnami del XV secolo, "lapis ab oleo" o "lapidibus ab oleo" erano già utilizzate nelle botteghe di maestranze dell'epoca.

La qualità del metallo di cui è fatta la lama dell'attrezzo, del resto, non è solo indispensabile a ridurre l'usura del filo (diminuendo così la frequenza con cui si rende necessario ri-affilare), ma concorre, come già accennato, alla precisione del filo ottenibile con la molatura.

La storia della falegnameria è composta da piccole innovazioni adattive, tese a migliorare o ricombinare pratiche già conosciute e, se risulta evidente che vi furono interazioni tra diverse culture, queste sembrerebbero limitate a quelle poche novità tecnologiche veramente rivoluzionarie, tali da portare mutamenti radicali rispetto alle prassi del passato.
La tecnica di lavorazione dei metalli che compongono gli arnesi è una di queste. 
Essa ebbe evidentemente un'importanza tale da farla godere di ampia divulgazione dato il grande vantaggio che si poteva ottenere da attrezzi meno soggetti ad usura e capaci di lavorazioni più precise.

In base alle analisi compiute su alcuni reperti storici utilizzati diversi secoli prima dell'avvento di Cristo, risulta evidente che già all'epoca, in Italia centrale, per quel che riguarda utensili da taglio o lame utilizzate per scopi bellici, si usasse riportare sul filo dell'acciaio più ricco di carbonio.
Possiamo quindi desumere che in epoca medievale la tecnica raffigurata che permette di fissare per bollitura un acciaio “migliore”, forgiato in fucina, fosse già diffusa su tutto il territorio europeo.

La tecnica utilizzata per la realizzazione di una testa di scure. Il materiale grezza (in A) viene schiacciato fino ad ottenere una sottile lemina simmetrica della forma desiderata (B). La lamina viene successivamente piegata a metà e viene aggiunto l'acciao che compone il filo (C), il tutto viene poi saldato per bolltura per ottenere l'attrezzo finito (in D)

Questa tecnica permetteva un notevole risparmio energetico, richiedendo lunghi processi di lavorazione in forgia solo per una piccola quantità di materiale rispetto a quello che compone l'intero utensile e dava anche la garanzia di realizzare lame meno fragili, dato che l'alta percentuale di carbonio, che rende l'acciaio più rigido e meno flessibile, si focalizzava solo sul filo dell'utensile.
I diversi passaggi di lavorazione che permettevano di assemblare teste di scuri, asce o accette si può vedere rappresentata in figura.

A parte l'usanza di riportare un piccolo incudine sulla nuca dell'utensile, introdotta dal 1700 in poi, questa tecnica di lavorazione è rimasta invariata per diversi secoli e viene utilizzata ancora oggi.

La lama di una scure in cui si possono vedere i segni di saldatura della lamina ripiegata e della saldatura di attacco dell'incudine sulla nuca.

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I due distinti casi di tecniche di utilizzo di una lama tagliente sul legno che ho esemplificato (leggi qui) si differenziano essenzialmente in base all'angolo di lavoro col quale l'attrezzo entra in contatto col materiale.


L'angolo più appropriato dipende dalle caratteristiche del legno in lavorazione e varia non solo in base alla durezza e compattezza del legno, ma anche in base all'inclinazione delle venature rispetto alla superficie nel punto in cui si va ad operare.

Questo aspetto oltre a coinvolgere essenzialmente, gestualità, istinto ed esperienza personale, viene a delineare quella che potremmo definire come un'autentica “grammatica” della lavorazione, con direzioni di lavoro preferenziali e sequenze obbligate che finiscono per definire delle precise regole di cui occorre tener conto nel concepire nel miglior modo progetti articolati.

Nonostante la difficoltà a trasmettere per iscritto i riscontri di esperienze così particolari e prettamente individuali, esistono alcuni argomenti che possono risultare utili a chiunque, oggi, voglia dedicarsi alla lavorazione manuale del legno.

Nella maggior parte dei casi è importante, operando su una superficie, dare priorità alla componente di taglio, cercando di evitare che prendano piede fenomeni profondi, o troppo lunghi, di fenditura. 

Quest’ultima, infatti, è accettabile, sempre in proporzioni limitate, solamente durante la sbozzatura del pezzo e deve diminuire progressivamente man mano che ci si avvicina alla forma desiderata.
Bisogna curare, quindi, che perlopiù lavori il dente della lama rispetto al dorso della stessa, che anzi deve rimanere, ben sollevato dalla superficie del legno. 
 
Per fare questo, al di là del tipo di lavorazione e di ogni sua eventuale variabile, è importantissimo distinguere il giusto verso d’intervento, che, in base all’inclinazione del taglio da eseguire rispetto alle venature presenti nel legno, può essere sempre uno solo. 

La direzione di lavoro errata, visibile in A, apre linee di fenditura verso l'interno del legno.
Quella corretta in B crea spaccature che facilitano il distaccamento del truciolo.

In pratica, per garantire un trattamento di qualità ed ottenere una superficie liscia, bisogna agire nella direzione che consente di staccare trucioli maggiormente corti. 
La lama deve muoversi insomma in quella direzione che permette alla fibra di “aprirsi” verso l'esterno, respingendo per così dire l'utensile, invece di farlo affondare nel legno.

Bisogna generare quindi trucioli molto corti e sottili, cercando in questo la collaborazione delle naturali linee di fenditura del legno. 
Le linee di fenditura generate dall'attrezzo si devono propagare verso il truciolo di scarto e non in direzione della superficie che si sta lavorando. 
 
In questo modo si ottiene dal materiale stesso una sorta di effetto di allontanamento dell’utensile dalla superficie che si vuole “scoprire”.  
Essa va cercata con caparbietà, grazie a manovre successive ripetute dall’artigiano. 

 
Ovviamente partendo da questa direzione che viene definita a “favore di vena”, o “lungo vena”, ci si può spostare fino ad arrivare a tagli ortogonali alle fibre, definiti “traverso vena”, ma è altamente sconsigliabile agire “contro vena”, in quanto questa azione genererebbe spaccature e superfici scabre. 
 
Una volta trovata la corretta direzione di lavoro, occorrerà quindi operare a ritroso, partendo dal fondo per risalire in modo che l'attrezzo finisca sempre il suo movimento sulla superficie già lavorata.

Questo argomento è comunque molto vasto ed è purtroppo impensabile trattarlo completamente in questa sede; torneremo su alcuni aspetti relativi alla grammatica di lavoro con i prossimi post.
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Spesso si è portati a pensare che per far fronte a particolari lavorazioni del legno occorrano macchine speciali o attrezzi costosi.
Non sempre però è questa la soluzione più idonea se si vogliono ripercorrere le fasi di lavoro, affrontandole come si faceva un tempo.


Per fortuna, oltre alla documentazione pervenutaci possiamo contare su svariati fattori di continuità che ci permettono di capire quali fossero le prassi del passato: la struttura del corpo umano con leve articolari e capacità sostanzialmente identiche nel tempo, l'azione meccanica degli utensili che obbediscono a precise leggi fisiche e la risposta del materiale, il legno, che a parità di specie e provenienza presenta caratteristiche tecniche invariate nel tempo.

Queste nozioni, anzi, risultano essere elementi basilari necessari all'analisi e alla interpretazione di molte fonti storiche.

Quindi per quel che riguarda gli aspetti fisico meccanici possiamo analizzare preliminarmente questi due casi.


Nel primo esempio un attrezzo cuneiforme, spinto da una forza “F” fende il materiale grazie ad una divaricazione esercitata da due punti di contatto sui dorsi del cuneo stesso.
Tale azione crea una distanza di fenditura “d” che causa una perdita di controllo sull'azione dell'utensile e produce una superficie scabra, rugosa ed imperfetta.

Nel secondo caso lo stesso attrezzo cuneiforme, lavora per staccare una sezione minore di materiale con il dente, utilizzando un particolare angolo di lavoro (dato dalla somma dell'angolo di cuneo α e dell'angolo libero β) che permette al dorso posteriore della lama di rimanere sollevata dalla superficie di lavoro.

In questo caso il “petto” della lama, avanzando, produce un unico punto di contatto, sollevando un truciolo e la distanza di fenditura che deriva da tale operazione risulta talmente ridotta da potersi considerare nulla.
Diversi effetti ottenuti con la stessa accetta:

In A si può vedere una profonda linea di fenditura che produrrà una superficie sempre più scabra, visibile in B.

In C l'inclinazione dell'azione dell'utensile, che è ottenuta in questo caso inclinando leggermente il pezzo in lavorazione, permette di ottenere l'arricciamento della parte asportata.

In D la superficie più rifinita partendo dal basso e risalendo man mano verso la sommità.
La superficie lavorata dalla tecnica che produce ampie fenditure risulta grezza e caratterizzata da solchi che si producono gradualmente, man mano che il cuneo avanza, diventando sempre più profondi e scabri.

Utilizzando lo stesso attrezzo, con l'accortezza di staccare parti più sottili, e usando la giusta inclinazione, si produrrà un truciolo che tende ad arricciarsi permettendo l'avanzare della lama, ottenendo così una superficie molto più pulita e netta.

In questo caso una volta individuata la direzione di lavoro che permette un più facile distaccamento delle fibre in base all'inclinazione della superficie rispetto alle fibre del legno, sarà utile, per avere più controllo sull'azione dell'utensile, lavorare a ritroso, partendo dal fondo per risalire gradualmente.

Ingrandendo virtualmente la zona di sollevamento del truciolo nel secondo caso del disegno in alto, si arriverebbe ad un punto in cui la cuspide dell'affilatura del cuneo viene meno finendo per riproporre l'aspetto del primo esempio: due punti di contatto che separano le fibre producendo una seppur minima distanza di fenditura.


Risulta evidente in effetti che le due azioni rappresentano succintamente due “operazioni ideali”; nelle realtà dei fatti non si ha fenditura senza intaglio ne', viceversa, intaglio senza fenditura.

Queste due situazioni rappresentano tuttavia gli estremi entro i quali l'artigiano deve sapersi destreggiare per gestire la sua azione.

Credo che l'evoluzione delle tecniche di falegnameria dal neolitico ai giorni nostri, in fondo, in modo più o meno consapevole, non sia stata altro che un susseguirsi di espedienti sviluppati e pensati per aumentare il controllo sulla distanza di fenditura.

Vediamo quindi nel dettaglio quali possono essere questi espedienti :


2°
Angolo di lavoro e direzioni preferenziali.
3°
Materiale che compone l'utensile e tecniche di affilatura.
4°
Attrezzi particolari: le pialle.
5°
Forma della lama e prassi dilavoro.
6°
Grammatica costruttiva: l'interpretazione delle fibre.

Ognuno di questi argomenti è stato trattato separatamente in altrettanti post.


Se vuoi conoscere meglio la nostra attività visita il sito ViduQuestla!
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