Astrazione e Gioco: tracce sulla sabbia

Come si può dedurre anche dal discorso pubblicato nei giorni scorsi (leggi qui) ci sono diversi significati della parola gioco, che possono cambiare completamente la percezione dell'argomento di cui si sta trattando.
La cosa è più che lecita, ma per i ragionamenti che seguiranno occorre trovare un accordo definendo svariate espressioni e terminologie.
Cerchiamo quindi, inizialmente, di dare una definizione del termine “gioco”, non si tratta di creare un’enunciazione assoluta, ma è un'operazione funzionale ai discorsi che in questo contesto verranno sostenuti.
Molti autori, del resto, con soluzioni differenti, spesso sollevando polemiche ed aspre discussioni, hanno nel tempo affrontato il difficile problema relativo ad una simile definizione.
Personalmente trovo interessante di Johan Huizinga che si trova in “Homo Ludens”: “Gioco è un’azione , o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di «essere diversi» dalla «Vita ordinaria»”.
Trovo particolarmente interessante la precisazione relativa alla assoluta devozione dei giocatori nei confronti della regola di gioco assunta.
La regola in questione è di fatto una “struttura” che gestisce le azioni di gioco e lo scorrere del tempo (in turni, round etc.) da un inizio ad una fine.
Credo che, per evitare confusione o fraintendimenti con altri temi che più avanti toccheremo, sia meglio, in mancanza di vocaboli più idonei, definire questa struttura qui col termine sequenza.
In effetti l’intervento di una sequenza di questo tipo crea una distinzione ben precisa tra i diversi significati della parola gioco.

Un gioco le cui precise regole disciplinano le azioni attraverso un intervallo di tempo prestabilito è quello degli scacchi.

Vengono esclusi dalla nostra definizione, per esempio, i giocattoli: attrezzi ludici in cui l’azione è limitata solamente dalla fantasia degli individui coinvolti e lo svago non ha conseguentemente limiti di tempo prestabiliti ne’ regole precise.
Questa distinzione diviene basilare annotando inoltre come gli svaghi fatti con i giocattoli siano maggiormente dipendenti dalle mode e dalle suggestioni del momento rispetto al gioco che abbiamo appena definito che, in funzione dell’impegno condiviso di devozione a precise regole, non sembra subire, o subisce meno, gli effetti del tempo reale.
Quand’ero bambino, per esempio, divertendomi con una spada giocattolo, potevo invariabilmente impersonare Zorro, uno dei moschettieri, Sandokan o un cavaliere Jedi con la sua spada laser, interpretando quello che il mio immaginario mi suggeriva al momento, ma quando giocavo a Dama lo facevo diligentemente secondo le regole insegnatemi da mio nonno.
Non farlo sarebbe equivalso a barare!


La replica di una scacchiera intagliata del XIX secolo.
Purtroppo la vita non mi ha concesso di poter approfondire dove e quando mio nonno abbia imparato quelle regole, ma, se diamo per assodato che anche lui, cresciuto in un ambiente agricolo pastorale che garantiva a stento la sussistenza, le abbia apprese a sua volta da suo nonno (presumibilmente l’unico membro della famiglia che poteva occupare il suo tempo in simili passatempi), potrei asserire che quelle regole siano giunte a me, senza mediazioni o variazioni, dalla metà dell’ottocento, e che questo possa essere accaduto senza che nessuna abbia mai pensato di trascriverle o fissarle su alcun tipo di supporto.
Così, ripercorrendo a ritroso la storia di queste sequenze di gioco che si sono succedute nelle varie epoche, possiamo superare facilmente salti temporali enormi riscontrando solamente poche variazioni tutto sommato insignificanti.

La replica di una tavola gioco altomedievale originaria del nord d'Europa.
Risulta pertanto evidente come lo studio della storia dei giocattoli e quello di questealtre attività ludiche risultino diametralmente opposti.

Il gioco che abbiamo definito inizialmente e la sequenza astratta di regole immutabili che lo contraddistinguono, infatti, sembrano scivolare sulla storia dell’uomo per parlare più profondamente della sua natura e delle sue origini.

La differenziazione tra gioco e giocattoli, a mio avviso, ricorda molto la disputa nota, tra linguisti e filosofi, tra le dottrine strutturaliste e quelle generativiste.
La prima corrente di pensiero tende ad interpretare il linguaggio umano come una struttura creata dall’uomo, la quale si modifica in base alla storia del popolo e della cultura che circoscrive e finisce per distinguere ogni società, differenziando il linguaggio stesso e la sua evoluzione nel tempo e nello spazio.
La seconda, al contrario, sostiene la tesi che nel linguaggio umano vi sia qualcosa di universale insito nell’uomo in quanto generato con esso.
Come accennavo poc’anzi, la presenza di una struttura linguistica non ci deve qui trarre in inganno: la sequenza, caratteristica delle regole del gioco di cui parliamo, ci porta ad assimilarne i ragionamenti al pensiero generativista e non a quello strutturalista.

Per esemplificare la questione in modo rapido, senza divagare troppo, immaginiamo di dover tradurre la frase “prendere in giro” in un’altra lingua… è chiaro che la traduzione non può essere letterale ma essa dipende dalla struttura creata nella nuova lingua per esprimere tale concetto, in inglese potrebbe essere “to pull my legs” se non erro.
Dal punto di vista dell’analisi storica, quindi, è interessante scoprire come certe strutture possano essere nate e seguirne l’evoluzione.
Nel caso dell’espressione “salvare capra e cavoli”, per esempio, sappiamo che essa deriva dal noto rebus nel quale bisogna riuscire a fare attraversare indenni un fiume ad un lupo, una capra e dei cavoli..
Tale indovinello compare nel testo di Alcuino da York “Problemi per rendere acuta la mente dei giovani” scritto nell’VIII secolo, quando, alle dipendenze di Carlo Magno, fu incaricato di istituire un programma scolastico che accomunasse l'Europa dell’epoca.
Sarebbe logico aspettarsi pertanto, secondo le tesi strutturaliste, che questa costruzione lessicale sia traducibile letteralmente rimanendo comprensibile in tutta Europa, poiché attinge da una fonte culturale comune, ma non, magari, in Asia dove per esprimere lo stesso significato si utilizzerà sicuramente una struttura linguistica differente.
Questo esempio, pertanto, è assimilabile a quello dei giocattoli che cambiano, rispecchiando le mode e tendenze del luogo e del momento.
Un esempio completamente diverso lo troviamo immaginando di dover tradurre la vignetta di un fumetto in cui si vede il volto radioso di un personaggio con al suo fianco sospesa una lampadina altrettanto raggiante.



Come si può tradurre questo concetto “d’illuminazione” nelle diverse lingue?
Sorprendentemente pare che quella vignetta non necessiti di alcuna traduzione (almeno tra le popolazioni che conoscono la lampadina), generalmente essa viene interpretata nel corretto modo da differenti culture, così come pare che universalmente in tutti i linguaggi conosciuti esista un vocabolo che associ “ luce” e “luminosità” al concetto di raggiungimento di una verità superiore.

Questo secondo esempio, affiancabile alle tesi generativiste, descrive ciò che succede anche nel mondo del giochi da tavola antichi, le cui sequenze astratte e le mosse su schemi di gioco simili sono riscontrabili in differenti culture, anche in assenza di contatti verificabili, con variazioni e differenziazioni minime e trovano la loro genesi dall’astrazione di processi logici mentali universali, come fossero espressioni tipiche dell’umanità intera.
Il processo di astrazione che ha condotto l’uomo alla creazione di simili sequenze è la stessa che l’ha condotto alla logica ed alla matematica; linguaggi universali utilizzati per meglio comprendere ed interpretare la realtà che ci circonda.
I primi gesti compiuti per aiutarsi in questi processi di astrazione sono evidentemente altrettanto universali: l’uomo ha utilizzato la sabbia come lavagna e, nel linguaggio di diverse culture classiche così come in quelle indo-asiatiche, si riscontrano tracce di tale passaggio grazie a molteplici termini, sopravvissuti, contenenti la parola “sabbia”, che fanno riferimento al mondo del gioco e a quello della matematica.

Un'associazione, quella tra calcolo, gioco e sabbia che sembra perdurare fino ai giorni nostri: basta tener presente che le ultime tecnologie, utilizzate tanto per dar vita a nuovi giochi quanto ad accrescere il potenziale di calcolo, fanno uso di chip al silicio...
Anche oggi, quindi, il mondo della matematica vive in connubio con quello del gioco concretizzandosi in qualche modo attraverso la sabbia...

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