Il gioco: svago, tradizione e... necessità!
Parlando di “gioco tra storia e
tradizione” ci si rende conto di quanti interessanti argomenti sia
possibile trattare mettendo in relazione questi vari temi.
Esistono innumerevoli e differenti
significati che il gioco, come rito sociale, ha assunto in diversi
periodi, concetti che, a mio avviso, hanno rispecchiato aspetti e
valori collettivi che si sono susseguiti nelle varie epoche.
I giocattoli d’un tempo, per esempio,
ci parlano esplicitamente del momento in cui erano più in voga: Le
bambole in porcellana coi loro ricchi abiti di pizzo ci comunicano i
romantici gusti estetici di fine ottocento; I soldatini, gli
autoblindo e i carri armati possono farci intendere i valori del
ventennio fascista nel quale erano diffusissimi. Quando nel
dopoguerra l’Italia si trovava a dover fronteggiare i problemi di
viabilità, creati dalle nuove esigenze del boom economico, si
giocava prevalentemente con trenini e macchinine ed, infine, negli
anni ottanta, con la guerra fredda che vedeva le due superpotenze
contendersi la conquista dello spazio, i giochi preferiti erano
astronavi e robot.
Altri tipi di gioco tradizionali,
radicati forse più profondamente nella cultura rurale italiana, come
trottole, la lippa, la corda da saltare etc. ci rimandano l'immagine
di un mondo austero in cui la manualità e la fisicità avevano una
funzione importante. Allora bastava l'accortezza e il lavoro
improvvisato di un parente (generalmente si trattava del nonno, che
si era conquistato sul campo, con un'intera esistenza dedicata al
duro lavoro, il diritto di spendere tempo in questo genere attività
considerate secondarie e di ripiego) che col suo coltello e con
movimenti studiati ad arte, su un pezzo di legno da intagliare,
riusciva a dischiudere agli occhi meravigliati dei fanciulli interi
mondi da esplorare.
Ripercorrere la storia del gioco, però,
non offre solo l’occasione di indagare, in modo particolare ed
originale, i valori che hanno contraddistinto le differenti culture
che si sono succedute nel tempo, ma anche di parlare più
generalmente della natura umana e delle sue caratteristiche più
intrinseche.
Il gioco “astratto”, per esempio,
contraddistinto da aspetti logici e strutture di regole razionali,
immutabili nel tempo, sembra scivolare sulle vicende
dell’uomo, oltrepassando anche i più rigidi confini creati dalla
storia, per parlare più profondamente dell'essenza dell'individuo e
delle sue origini.
Una
sorprendentemente profonda testimonianza di questi argomenti ci
giunge dalla letteratura medievale e si trova nel “Libro dei
giochi” voluto da Alfonso X di Castiglia e Leon nel XIII secolo.
Nell’introdurre
l’argomento gioco, il sovrano afferma, infatti, che l’uomo ha una
naturale propensione a ricercare, con lo svago, uno stato di allegria
che gli è necessario per affrontare con rinnovata serenità le
difficoltà della vita.
Cita, quindi,
diverse tipologie di gioco, alcuni antesignani degli odierni sport,
giostre e tornei (giochi che si fanno stando in piedi o a cavallo) e
i giochi da tavolo dell’epoca (che si fanno stando seduti) i quali
vengono reputati i migliori per raggiungere quello stato di
“allegria” necessaria all'individuo; essi sono considerati i più
importanti proprio perché possono portar sollievo a quelle persone
che, essendo costrette in casa, in prigionia o a letto, hanno maggior
bisogno di svago.
Conseguentemente una minuziosa
descrizione dei giochi da tavolo dell’epoca e delle loro regole
diviene la parte centrale del prezioso codice medievale.
Erodoto,
(485-425 a.C.), del resto, nel suo libro “Storie” (I,94,2 sgg.)
sosteneva che l’invenzione di diversi svaghi e passatempi, come il
gioco dei dadi e degli astragali, fosse dovuta ai Lidi, una
popolazione dell’Asia minore da cui sembra discendessero gli
Etruschi.
Tale ideazione
sarebbe dovuta, secondo lo storico, al tentativo di non sentire i
crampi della fame durante una terribile carestia che portò la
popolazione dei Lidi (dai quali sembrerebbe derivare il termine
latino Ludus) ad impegnarsi a giorni alterni nelle pratiche
ricreative da loro inventate.
Essi riuscirono
così facendo a sopportare condizioni di vita d’indigenza per ben
18 anni.
Al di là della possibile iperbole
narrativa, la testimonianza è significativa riguardo alla credenza
di caratteristiche “anestetizzanti” del gioco, argomento
parzialmente riscontrabile anche in una novella di Esopo (VI sec.
a.C.) che vede il narratore stesso quale protagonista.
Egli viene canzonato da un ateniese di
passaggio, mentre si intrattiene per strada giocando come un
ragazzino; Esopo ribalta i ruoli, passando da dileggiato a derisore,
quando, mostrando al passante un arco con la corda allentata, lo
interroga sul significato di quel gesto.
Il silenzioso imbarazzo dell’ateniese
viene, infine, interrotto dalla spiegazione del saggio: “Presto
romperai l’arco se lo tieni sempre teso, ma se lo tieni allentato,
sarà sempre pronto quando ne avrai più bisogno. Così si deve dare
qualche svago alla mente perché resti sempre pronta a riflettere
adeguatamente in caso di necessità”.
In base a queste testimonianze
storiche, si può capire quanto, in epoche lontane, il gioco venisse
visto, come un bisogno tutt'altro che secondario per il
raggiungimento di un esistenza armoniosa e la cosa sembra, in prima
battuta, generare stupore all'uomo moderno, ridotto spesso ad
inconsapevole consumatore bulimico di svaghi e distrazioni.
Bisognerebbe provare a calarci
completamente in una realtà dove la musica non si ritrovi
amplificata in ogni ambiente possibile, senza televisione, né
monitor, senza cinema, films o partite di calcio, senza canali
satellitari o connessioni web, senza Ipod, niente concerti, niente
libri né teatro, nessuno svago democraticamente dispensato in modo
pressoché gratuito, alla portata di chiunque, per capire
l'importanza del gioco.
(Dalla lista ometto volontariamente
ogni tipo di gioco d'azzardo, lotteria, gratta e vinci etc.,
consapevole che tali argomenti meriterebbero un discorso a parte)
Bisognerebbe trovarcisi con la
consapevolezza che non si tratta di una parentesi momentanea dettata
da pose estetiche e nostalgiche , ma che questa “privazione”
rappresenta la muta realtà continua della nostra esistenza, per
riuscire a trovare il giusto valore che il gioco, come intervallo di
svago alla portata di tutti, può arrivare ad assumere.
Questo stato di cose, ben lontano da
essere semplicemente una suggestione personale, trova riscontro, come
già detto, in numerose testimonianze sia antiche che di epoca
medievale che sembrano dare, alla possibilità d’astrazione,
rappresentata dal gioco, un’importanza basilare per l’equilibrio
individuale.
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