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Viduquestla

Tra le cause più evidenti che determinarono il progressivo abbandono di scuri ed asce, come attrezzi professionali nelle botteghe di falegnameria d'un tempo, ci fu sicuramente il ricorso all'azione di segherie idrauliche, nate per velocizzare la produzione di tavolame.
Tali impianti infatti, facilitarono, il reperimento di semilavorati, sollevando i marangoni del tempo dal faticoso compito di operare sulla materia prima partendo da tronchi interi.
In mancanza di questa importante innovazione era possibile ottenere le tavole di legno operando per fendibilità oppure segandole a mano con apposite lame dentate montate su grandi telai.

Fenditura di tronchi attraverso l'uso di scuri e cunei
L'operazione con le seghe manuali era lenta e faticosa, ma permetteva un utile risparmio del prezioso materiale d'opera, la cui reperibilità nelle quantità necessarie non era scontata, visto il grande consumo caratteristico delle epoche passate.
Lavorare per fendibilità, al contrario, era un'operazione più veloce e meno frustrante, ma lo spreco di materiale, ridotto in schegge e trucioli non più utilizzabili, risultava spesso insostenibile.
Riuscire a segare le tavole grazie all'energia idraulica, dunque, fu la migliore risposta alle necessità di allora, ma ci volle tempo e diverse innovazioni prima che gli impianti di segagione risultassero veramente produttivi.

Far muovere alternativamente una lama di sega, utilizzando la propulsione di una ruota azionata dal flusso delle acque, non era certo un problema dal punto di vista meccanico.
Lo si fece ricorrendo a diversi espedienti, quali alberi rotanti dotati di parti eccentriche (camme) che operavano su telai, bilanciati con rami flessibili, o sistemi di biella e manovella.
La difficoltà, all'epoca, fu quella di ideare un sistema efficace per l'avanzamento dei tronchi verso la lama in azione.
I meccanismi che permettevano questo movimento risultavano essere, a mio avviso, la parte veramente distintiva delle varie tipologie d'impianti e della loro evoluzione. 

L'evoluzione delle segherie. In A la segheria a camme diaegnata da Villard de Honnecourt nel XIII secolo, in B una rappresentazione di Francesco di Giorgio Martini del XV secolo, in C una segheria alla Veneziana rappresentata nel Theatrum Machinarum Novum del XVII secolo.
Sembrerebbe che, anche se ci giungono testimonianze di diversi altri tipi di segheria di epoca medievale, solo dopo l'introduzione del sistema detto “alla veneziana” si registra nel nord d'Italia un rilevante incremento nell'uso di segherie.
Gli impianti alla veneziana facevano uso di un sistema di biella a manovella per il movimento della lama e di una serie di leve che azionavano una ruota, spingendo in avanti il tronco nell'esatto momento in cui i denti della lama andavano ad aggredire il materiale.
Il complesso risultava così preciso e funzionale che questa tipologia di seghe venne pienamente utilizzata fino all'avvento dell'energia elettrica, ed oltre, in alcuni casi.
L'intero meccanismo, in origine, veniva azionato, però, da una ruota idraulica di piccole dimensioni che era posta, lungo il corso d'acqua, sotto all'impianto stesso.

Questo particolare condizionava pesantemente il funzionamento di simili strutture che per procedere necessitavano di un flusso d'acqua abbastanza importante da sviluppare la potenza necessaria a muoverne i meccanismi, ma anche così veloce da garantire la produttività della segheria.
Nel territori del nord, quindi, lungo i fiumi che dalle Alpi scendevano verso la Pianura Padana, questa tipologia di segheria non poteva essere edificata troppo a valle dove i fiumi, trovando ormai poca pendenza, scorrevano lenti e pacifici verso il mare, ne' potevano sorgere troppo vicine alla sorgente, laddove la portata del corso d'acqua era ancora insufficiente a produrre l'energia necessaria a far lavorare l'impianto.
Questo è un punto fondamentale per il proseguo dei ragionamenti; va detto, però, che le segherie in questione debbono considerarsi null'altro che un ingranaggio posto nel mezzo di un eccezionale meccanismo di distribuzione perfezionato nel tempo.

La più antica raffigurazione pervenutaci di una segheria alla veneziana risale al 1600. (Iseppo Paulini, 1608, Secreta, Materie miste notabili, Codice Paulini, reg. 131, pp. 22v-23r. Archivio di Stato di Venezia)
L'intera filiera, infatti, era organizzata in modo preciso per riuscire a soddisfare l'enorme fabbisogno di legno della pianura più densamente popolata dell'Europa medievale.
Gli alberi venivano prelevati nei boschi di montagna dove il clima più rigido li aveva dotati, grazie ad una crescita lenta, di caratteristiche strutturali migliori.
L'abbattimento veniva fatto in inverno, quando le piante, in stasi vegetativa, avevano minori quantità di linfa in circolo, questo garantiva miglior legno da costruzione.
La stagione fredda inoltre permetteva di semplificare le operazioni di sfrondamento, grazie all'assenza di fogliame e favoriva l'esbosco dei tronchi che potevano scivolare meglio sul duro terreno ghiacciato.
I tronchi venivano quindi accatastati lungo i fiumi in attesa del disgelo che avrebbe portato le eccezionali ondate di piena necessarie a far loro iniziare il viaggio di fluitazione.
Queste ondate di piena venivano anticipate dalla sensibilità degli addetti ai lavori che ne percepivano a “fior di pelle” l'avvento grazie alla loro esperienza, “fiutando l'aria” per poter organizzare le varie attività di conseguenza.
Prima che il risveglio primaverile minacciasse i fusti con il brulicare di troppi parassiti, quindi, il legno doveva salpare; durante il viaggio, costantemente immerso nell'acqua, avrebbe dilavato le proprie fibre dalla linfa, favorendo una migliore essiccazione futura.
I tronchi viaggiavano singolarmente per la prima parte del tragitto nella quale i torrenti non permettevano un navigazione organizzata in zattere; venivano successivamente raccolti e preparati in convogli galleggianti.

Le segherie entravano in gioco in questa fase, permettendo di tagliare i tronchi in tavole che venivano accatastate sulle zattere, prima di proseguire il loro cammino scivolando sempre più in giù verso i porti delle città di pianura.
Va da sé che la distribuzione avvenisse, in discesa, a senso unico, e che, in tutti territori a monte della più alta segheria di una data via fluviale, il legno continuasse ad essere commerciato in tronchi, mentre a valle dell'ultima segheria gli unici tronchi disponibili fossero quelli destinati a rimanere tali (per lavori particolari quali travature o pennoni etc).
Fatta eccezione per le maestranze che usavano questo legno massiccio, lavorandolo lungo le fibre (carpentieri edili e navali, carrai etc), i falegnami nelle città in cui era finalmente disponibile una grande quantità di tavole, perfette, di spessore costante e calibrato, finirono per adattare il loro lavoro a questa circostanza.
Si garantirono quindi la possibilità, coi propri attrezzi, di intervenire sui difetti sistematici delle tavole, eliminandone imbarcamento e piccole asperità grazie all'azione di pialle e sbozzini e relegando le scuri e le asce a lavori sempre più marginali.

La deformazione sistematica cui sono soggette le tavole tagliate tangenzialmente
Al contrario in alta montagna si continuò ad eseguire i lavori partendo dalla materia prima nella sua forma primitiva, utilizzando quindi scuri ed asce per tutti i lavori di trasformazione del legno.

Io credo che lo sviluppo di un nuovo stile non sia solamente conseguenza del mutare astratto di gusti e ragionamenti concettuali, ma nasca anche come espressione di tecnologie ed attrezzature che ogni nuova epoca mette a disposizione all'uomo.

Lo spaccato di un tardo armadio in stile rinascimentale rende l'idea di come questa tecnica costruttiva detta "a fodrine" faccia largo uso di tavole dallo spessore regolare e calibrato
Forse non è direttamente dimostrabile la correlazione tra la facile reperibilità di semilavorati ottenuti grazie alle segherie e lo sviluppo di quegli stili che si allontanarono dagli schemi romanici e gotici.
Si può forse, tuttavia, trovare una relazione tra quanto appeno descritto ed il fenomeno detto “stile in ritardo” che ha portato l'artigianato tradizionale dell'arco alpino a produrre opere in uno stile accostabile al gotico internazionale fino al Milleottocento inoltrato.
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La presenza di foderi in legno di epoca medievale, ricoperti di ricchi tessuti ricamati o pelle, è confermata da numerosi ritrovamenti.

Visione d'insieme del fodero in legno
Attraverso una rapida ricerca in rete si può appurare che per realizzare questi manufatti originariamente venivano utilizzate le essenze più disparate.
Esistono infatti ritrovamenti di foderi in quercia, ontano, faggio, acero, pioppo, salice, ulivo, etc..
Non trovando un'omogeneità di caratteristiche tra queste essenze ci siamo orientati verso l'utilizzo di una buona tavola di pioppo, legno leggero e fibroso.
Una volta ottenute, con l'ausilio di una sega circolare, le due stecche utili al nostro progetto si è proseguito con tecniche completamente manuali.

La pialltura delle pareti interne

Le stecche sono state, quindi, piallate sui lati interni in modo che combaciassero al meglio ed è stato successivamente effettuato il taglio in testa seguendo l'andatura della guardia che vi si deve appoggiare perfettamente.

Il taglio della sommità del fodero
Abbiamo quindi riportato traccia sul legno delle varie linee di quota dalla lama che il fodero avrebbe dovuto accogliere, tenendo nota delle varie profondità di scavo.

Tracciature delle varie linee di profondità dello scavo
Si è quindi scavata la sede per la lama partendo dalle zone più profonde in modo da avere sempre la possibilità di verificare e misurare l'altezza dell'intervento.

Varie fasi di scavo dell'intaglio fatto per accogliere la lama
Una volta eseguiti entrambi gli scavi abbiamo tracciato il profilo esterno e segato la forma di massima del fodero.

Tracciatura e taglio della forma del fodero
Per il rivestimento interno ci siamo orientati verso un tessuto di lana bordeaux che è stato incollato nella parte incava e successivamente rifilato.

Rifilatura del tessuto interno
Una volta assemblate ed incollate le due parti si è proceduto alla sbozzatura della forma del fodero con coltello a due mani.
Per aiutarci in questa fase, in mancanza di dime più sofisticate, abbiamo realizzato dei piccoli fori sulla superficie (visibili in foto) che, come tracce di quota, ci segnalavano la parte da asportare per raggiungere lo spessore desiderato.

Sbozzatura della forma
Una volta giunti alla grossezza e forma cercate abbiamo completato il lavoro rifinendo le superfici con passaggi successivi di pialla, prima, e carta vetrata, poi. 

Varie fasi di rifinitura

Il fodero risulta quindi pronto ad essere rivestito... 

Il fodero finito


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Ci siamo occupati in diverse occasioni di replicare specchi intagliati in stile gotico.

Originale e replica a confronto
I modelli di riferimento, in questo caso furono realizzati da intagliatori d'avorio di epoca medievale, essi, specializzati nella lavorazione di questo materiale, eseguivano una svariata gamma di oggetti.
Tra tutti gli specchi erano assai popolari, tanto che ne sopravvivono svariate copie, realizzate con uno stile tanto consolidato da renderle pressoché identiche nello stile e nei temi trattati, anche quando provenienti da zone differenti.
Sembra che originariamente questi specchi fossero realizzati a coppie in modo che, abbinati, potessero proteggere le superfici riflettenti in metallo levigato; in alcuni casi è altresì attestata la presenza di custodie in pelle.

Le valve erano arricchite di intagli che rappresentavano scene di vita ed allegorie d'amor cortese: spesso coppie d'amanti in situazioni riprese da racconti e romanzi dell'epoca.

Le nostre repliche, il cui specchio vero e proprio è in ottone lucidato, sono realizzate in legno.

Specchio in ottone lucidato
 Dopo diverse prove con essenze differenti ci siamo orientati verso il legno di ciliegio, la cui compattezza sembra dare risultati migliori nell'eseguire i rilievi delicati ed arrotondati che caratterizzano gli originali in avorio.

Intaglio in lavorazione
Ecco alcune immagini del risultati ottenuti: 














Per approfondire i temi dei nostri lavori consulta il sito ViduQuestla!
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Questa tipologia di piccoli, semplici cofanetti o astucci, realizzati con un coperchio scorrevole (sliding lid, in lingua anglosassone), sembra essere riuscita ad attraversare indenne la storia del vecchio continente, dai tempi di Carlo Magno fino alla metà del 1900.

Astuccio con coperchio scorrevole

I primi esemplari di cui ho notizia, infatti, risalgono all'alto medioevo o al periodo immediatamente posteriore alla caduta dell'impero romano.
Resta plausibile l'ipotesi che, visto il loro carattere popolare prevalentemente povero, (erano impiegati per conservare attrezzi da cucito, da scrittura o tessere e strumenti ludici) ne possano esistere anche di più antichi, custoditi in modo per lo più anonimo nei magazzini di molti musei.
Tra gli esemplari più vicini a noi, del resto, ci sono gli astucci contenenti le tessere del domino ed i portapenne utilizzati per la scuola dell'immediato dopoguerra.
Anch'io, durante le mie frequentazioni scolastiche ne possedevo uno, anche se devo ammettere che già allora il mio era un caso di ostentazione consapevole di attrezzi considerati arcaici ed obsoleti.
I cofanetti originali in questione, comunque, presentano caratteristiche tipiche della loro epoca di provenienza, soprattutto nella realizzazione della cassa che può essere fatta in diversi modi (scavata dal pieno, mediante assemblaggio di sottili tavolette, con o senza incastri, ad uno o due piani, con decori intagliati o liscia, etc.), ma resta prevalentemente medesima la forma del coperchio che, scorrendo in appositi solchi realizzati sui fianchi, assicura la tutela del contenuto.

Lo scavo del solco per alloggiare una parete di separazione
Noi abbiamo realizzato un esemplare ispirandoci ad un reperto seicentesco appartenuto al vascello Vasa.
Si tratta di una nave svedese affondata nel 1628, durante le operazioni di varo, che oggi è esposta nell'omonimo museo di Stoccolma.
Il vascello è interessante in quanto durante il recupero, avvenuto nel 1961, furono ritrovati più di 26000 manufatti seicenteschi di uso quotidiano e d'arredo che sono oggi esposti nello stesso museo rappresentando un autentico tesoro per ricercatori, storici e ricostruttori.
Per la ricostruzione del cofanetto in questione ci siamo affidati a legno nostrano, utilizzando del noce nazionale che abbiamo tagliato in sottili tavolette.

Lo scavo della tacca che agevola la presa sul coperchio
La cassa è assemblata tramite incastri a coda di rondine ed è composta, visto che l'astuccio è pensato per contenere gli strumenti di uno scrivano, di due comparti: uno per le penne e l'altro per il calamaio.

Particolare degli incastri a coda di rondine

Ecco altre immagini dell'astuccio finito:






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