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Viduquestla

La vittoria di una partita a scacchi si sancisce con un'affermazione perentoria che, spesso interrompendo un silenzio quasi sacrale, accompagna l'attacco definitivo: “Scacco matto. Il Re è morto!”
Il pezzo sotto attacco viene inclinato fino a perdere l'equilibrio e cade con un sonoro “TOC” sulla scacchiera.
Per qualche frazione di secondo la mente del giocatore che subisce il verdetto tenta un appello all'ineluttabilità dei fatti, cerca una scappatoia o almeno di comprendere come sia potuta accadere quella disfatta.
Accettata la fredda realtà, la voglia di riscatto può prendere il sopravvento: “Una rivincita?”.
Se il desiderio di rimettersi in gioco è condiviso, si riorganizzano i ranghi.
Quello stesso Re dato per morto poco prima, si risolleva, risorge dopo la sconfitta e si appresta a dare ancora battaglia, così come tutti gli altri pezzi del suo esercito stilizzato.


Sono sufficienti suggestioni simili ad eleggere i pezzi che animano questi giochi quali simbolo di vita ultraterrena?
Non credo basti, c'è molto di più.

In base alla frequenza con cui compaiono i pezzi ludici tra i corredi funebri in tombe di epoca classica, possiamo dare per assodato il binomio allegorico, esistente nell'antichità, tra la figura del guerriero e tali attrezzi ed indagare oltre sulla presenza di pedine da gioco in simili contesti.
Se da un lato il ritrovamento in svariate tombe elleniche di pezzi molto elaborati favorisce l'ipotesi che si tratti di un corredo da gioco personale, che in tutta naturalezza accompagna il defunto nella tomba come molti altri oggetti d'uso quotidiano, ci sono anche esempi in cui le pedine sono rappresentate da semplici sassolini senza lavorazioni aggiuntive.
Questo secondo caso a mio avviso avvalora l'ipotesi si possa trattare di corredi simbolici dovuti a rituali mistici dei quali oggi ci sfugge il significato.
Nell'antico Egitto, per esempio, si credeva, che tra le procedure che permettevano al defunto di entrare agevolmente nell'aldilà vi fosse una partita a Senet da giocare contro un imprecisato nemico invisibile e per questo, tra gli oggetti del corredo funebre, venivano posti tutti gli oggetti utili allo svolgimento di tale evento (Libro dei morti).


Si tratta, beninteso, di giochi a tutti gli effetti, attività ludiche che accompagnavano l'esistenza degli individui, dalla giovinezza fino all'età adulta, ma la presenza di schemi di gioco rinvenuti in templi e luoghi di culto lascia presagire altri risvolti.
L'accostamento del tema del trapasso, unito alla consapevolezza che il gioco nell'antichità, era una pratica legata alle tradizionali feste invernali, come i Saturnali dei Romani che si svolgevano in prossimità del solstizio invernale, fa nascere un'altra serie di considerazioni.
In particolare la credenza che in quel periodo la cortina che separa il mondo dei vivi da quello dei morti si faccia più sottile permettendo in alcuni casi il ritorno dei defunti, viste le premesse, diviene particolare interessante.
Non si può del resto non annotare la rassomiglianza tra lo schema di gioco rappresentato sulla tavola da gioco conosciuta come “mulino” o “trea” con la figura presente sulla maggior parte dei Mandala orientali, che rappresentano quattro porte poste centralmente sui lati di un quadrato formato da un ordine di tre cinte murarie (particolare già accennato ne “Il labirinto dei giochi perduti”)
Si tratta di uno schema ricorrente in molti graffiti ed incisioni antiche, conosciuto anche col nome di “triplice cinta”.



I percorsi ortogonali che, attraverso i muri conducono alle porte esterne, orientate verso i quattro punti cardinali, rappresenterebbero i sentieri, che permettono alle anime dei mortali il passaggio al mondo ultraterreno.
Gli antichi Testi Vedici parlano di Pitŗyāna, che scorre lungo l'asse individuato dagli equinozi e Devayāna lungo l'asse dei solstizi.
Le anime dei defunti intraprendono le diverse vie in base alle caratteristiche comportamentali tenute in vita, ma possono trovare lungo il cammino la strada sbarrata o aperta a seconda della posizione in cielo dei principali astri.
Sembrerebbe pertanto che una tavola-calendario (leggi qui), in grado di identificare la posizione di tali corpi celesti e che contenesse al suo interno anche le principali tappe del cammino dei morti, potrebbe rappresentare un buon viatico per fare auspici sul futuro delle anime che stanno abbandonando la “grotta” composta dalla nostra realtà materiale (assimilabile alla caverna descritta da Platone).

Concludo questo scritto, fatto di suggestioni che stanno diventato un po' cupe con una riflessione su alcune parole con cui Virgilio descrive la discesa di Enea negli inferi (Eneide, VI, 893-896)

Due sono le porte del Sonno, di cui una si dice fatta di corno da cui
è data una facile uscita alle vere ombre: la seconda brillante fatta di
splendente avorio, ma gli spiriti mandano al cielo falsi sogni.

Molte sarebbero ancora le cose da dire a riguardo, ma mi soffermo a riflettere sul fatto che i materiali descritti, sebbene inadatti alla realizzazione di vere porte, sarebbero i più consoni ad intarsiare le caselle di una ricca tavola da gioco...
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Nei passati post abbiamo accennato al connubio tra alcuni aspetti ludici e le scienze esatte, la cui logica sembra utilizzare lo stesso linguaggio dei giochi così detti astratti.
Tutti i principali codici di matematica dell’antichità, infatti, approfondiscono invariabilmente temi di carattere scientifico e ludico accostandoli con una naturalezza sorprendente.
Il mondo dei giochi è da sempre affiancato a quello della matematica e la cosa si può assodare anche analizzando l’evoluzione degli strumenti utilizzati per diversi scopi che, sia per quel che riguarda le tavole da gioco che le tavole da calcolo, sono essenzialmente identici.
In epoca medievale, in molti trattati di mercatura, per esempio, si trovano abbondanti descrizioni, di tavole utilizzate per eseguire diversi computi, suddivise in caselle numerate ed organizzate in modo differente a seconda dei calcoli da fare, tavole sulle quali si muovevano diversi quarteruoli (pezzi simili a pedine) le cui regole di movimento sul reticolo, dipendevano dalla funzione o dal calcolo da eseguire.
Queste tavole che venivano utilizzate come una sorta di complesso pallottoliere, permettevano di compiere meccanicamente anche calcoli molto articolati.

Una riproduzione della tavola da calcolo descritta nei trattati di mercatura di Francesco Pegolotti.
Margarete Riemschneider, nel suo libro” Riti e Giochi nel Mondo Antico”, afferma che lo stesso tipo di tavole potevano essere utilizzate per eseguire calcoli astronomici, permettendo simultaneamente di valutare spostamenti e movimenti di differenti astri e della volta celeste.
Grazie a queste particolari tavole si poterono verificare e calcolare cicli astronomici piuttosto lunghi o articolati con precisione sorprendente.
Così si è data nuova forma alle tavole da calcolo e da gioco: i calendari.

Un'interpretazionedel gioco delle tavole con l'astronomia descritto da Alfonso X ne "Il libro de los Juegos".
Del resto il legame assodato tra gioco e logica matematica è abbastanza conosciuto e dibattuto anche ai giorni nostri, ma una cosa che lascia in un primo momento assolutamente esterrefatti nell’approcciarsi allo studio dei giochi da tavolo dell’antichità è la loro relazione col mondo spirituale e con una dimensione trascendente dell’esistenza.
Il modo più facile per iniziare a metabolizzare questo concetto tanto lontano dalla visione moderna inerente l'attività ludica è quello di immaginare il primo uomo che, tracciando come abbiamo visto (leggi qui), segni sulla sabbia concepisce un gioco astratto e si abbandona a ragionamenti seguendo la sequenza di regole da lui stesso inventate.
Egli, man mano che si inoltra nel gioco, subisce un effetto di estraneazione che lo porta gradualmente, quasi senza che se ne accorga, a distaccarsi dagli affanni del quotidiano: il tempo scorre tra l’inizio e la fine che costituiscono i limiti scanditi dalla sequenza di regole e la sua stessa mente concentrata con dedizione alla soluzione del gioco perde il contatto con tutto il resto.
Quando si desta, a gioco terminato, è sorpreso dalla “magia” e da quel senso di tensione e di gioia, descritta da Huizinga, caratteristiche della sospensione temporale appena vissuta.
Quell’esperienza estetica viene quindi catalogata tra le “arti magiche” in quanto, come la musica o il teatro, sembra essere in grado di trasportare la nostra mente lontano dalle troppo spesso grette esperienze del quotidiano.
In questo caso è proprio la presenza di limiti temporali e spaziali ben precisi, in cui si dipana il gioco lungo un percorso, contraddistinto dal termine inglese PLAY che accomuna tutte le discipline appena citate, a permettere questo processo di estraneazione.

Le testimonianze storiche dell’importanza che veniva data a questa caratteristica del gioco,ed alla sua capacità di “animo relaxare” nelle varie epoche sono innumerevoli (leggi qui).

Del resto, i primi utilizzi come calendari di tavole di questo tipo permettevano di calcolare i tempi astronomici utili alle attività umane: la semina, il raccolto, lo stoccaggio delle materie prime etc.
Attraverso l'intervento degli esperti nel loro utilizzo permettevano quindi di regolare l'anno agricolo al preciso calendario che rappresentava il movimento degli astri in cielo.

Un antico modello di calendario indoeuropeo, molto arcaico ed impreciso, si prefiggeva di rifasare l'anno solare e quello lunare e prevedeva la suddivisone del ciclo annuale in dodici mesi lunari ai quali si sommavano, nel periodo del solstizio invernale, dodici giorni supplementari, una sorta di tempo sospeso, periodo “magico” nel quale diveniva possibile trarre gli auspici per l'anno venturo.

Una tavola da gioco conosciuta in epoca medievale come Talola reale".
A ben vedere questa visione sembra ben rappresentata sulla tavola reale che è composta da quattro comparti (come le quattro stagioni, non a caso in epoca medievale esistono varianti di gioco che fanno riferimento tanto alle stagioni, quanto all'astronomia) ed è suddivisa da dodici frecce chiare alternate a dodici scure.
Ogni coppia di tali frecce, quindi, potrebbe essere usata per rappresentare un mese lunare, suddiviso in luna piena (freccia chiara) e luna nuova (freccia scura).
Durante il periodo del tempo sospeso, i dodici giorni supplementari e magici, le frecce verrebbero a rappresentare, invece, i giorni e le notti, nelle quali secondo antiche tradizioni, si traggono gli auspici per i rispettivi mesi futuri.

Questo tempo incantato, come già detto, cadeva nel periodo invernale tradizionalmente impiegato, sia nell'antichità che in tempi moderni, alle attività ludiche e alla consultazione di oroscopi, previsioni e vaticini per l'anno a venire.


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Come si può dedurre anche dal discorso pubblicato nei giorni scorsi (leggi qui) ci sono diversi significati della parola gioco, che possono cambiare completamente la percezione dell'argomento di cui si sta trattando.
La cosa è più che lecita, ma per i ragionamenti che seguiranno occorre trovare un accordo definendo svariate espressioni e terminologie.
Cerchiamo quindi, inizialmente, di dare una definizione del termine “gioco”, non si tratta di creare un’enunciazione assoluta, ma è un'operazione funzionale ai discorsi che in questo contesto verranno sostenuti.
Molti autori, del resto, con soluzioni differenti, spesso sollevando polemiche ed aspre discussioni, hanno nel tempo affrontato il difficile problema relativo ad una simile definizione.
Personalmente trovo interessante di Johan Huizinga che si trova in “Homo Ludens”: “Gioco è un’azione , o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di «essere diversi» dalla «Vita ordinaria»”.
Trovo particolarmente interessante la precisazione relativa alla assoluta devozione dei giocatori nei confronti della regola di gioco assunta.
La regola in questione è di fatto una “struttura” che gestisce le azioni di gioco e lo scorrere del tempo (in turni, round etc.) da un inizio ad una fine.
Credo che, per evitare confusione o fraintendimenti con altri temi che più avanti toccheremo, sia meglio, in mancanza di vocaboli più idonei, definire questa struttura qui col termine sequenza.
In effetti l’intervento di una sequenza di questo tipo crea una distinzione ben precisa tra i diversi significati della parola gioco.

Un gioco le cui precise regole disciplinano le azioni attraverso un intervallo di tempo prestabilito è quello degli scacchi.

Vengono esclusi dalla nostra definizione, per esempio, i giocattoli: attrezzi ludici in cui l’azione è limitata solamente dalla fantasia degli individui coinvolti e lo svago non ha conseguentemente limiti di tempo prestabiliti ne’ regole precise.
Questa distinzione diviene basilare annotando inoltre come gli svaghi fatti con i giocattoli siano maggiormente dipendenti dalle mode e dalle suggestioni del momento rispetto al gioco che abbiamo appena definito che, in funzione dell’impegno condiviso di devozione a precise regole, non sembra subire, o subisce meno, gli effetti del tempo reale.
Quand’ero bambino, per esempio, divertendomi con una spada giocattolo, potevo invariabilmente impersonare Zorro, uno dei moschettieri, Sandokan o un cavaliere Jedi con la sua spada laser, interpretando quello che il mio immaginario mi suggeriva al momento, ma quando giocavo a Dama lo facevo diligentemente secondo le regole insegnatemi da mio nonno.
Non farlo sarebbe equivalso a barare!


La replica di una scacchiera intagliata del XIX secolo.
Purtroppo la vita non mi ha concesso di poter approfondire dove e quando mio nonno abbia imparato quelle regole, ma, se diamo per assodato che anche lui, cresciuto in un ambiente agricolo pastorale che garantiva a stento la sussistenza, le abbia apprese a sua volta da suo nonno (presumibilmente l’unico membro della famiglia che poteva occupare il suo tempo in simili passatempi), potrei asserire che quelle regole siano giunte a me, senza mediazioni o variazioni, dalla metà dell’ottocento, e che questo possa essere accaduto senza che nessuna abbia mai pensato di trascriverle o fissarle su alcun tipo di supporto.
Così, ripercorrendo a ritroso la storia di queste sequenze di gioco che si sono succedute nelle varie epoche, possiamo superare facilmente salti temporali enormi riscontrando solamente poche variazioni tutto sommato insignificanti.

La replica di una tavola gioco altomedievale originaria del nord d'Europa.
Risulta pertanto evidente come lo studio della storia dei giocattoli e quello di questealtre attività ludiche risultino diametralmente opposti.

Il gioco che abbiamo definito inizialmente e la sequenza astratta di regole immutabili che lo contraddistinguono, infatti, sembrano scivolare sulla storia dell’uomo per parlare più profondamente della sua natura e delle sue origini.

La differenziazione tra gioco e giocattoli, a mio avviso, ricorda molto la disputa nota, tra linguisti e filosofi, tra le dottrine strutturaliste e quelle generativiste.
La prima corrente di pensiero tende ad interpretare il linguaggio umano come una struttura creata dall’uomo, la quale si modifica in base alla storia del popolo e della cultura che circoscrive e finisce per distinguere ogni società, differenziando il linguaggio stesso e la sua evoluzione nel tempo e nello spazio.
La seconda, al contrario, sostiene la tesi che nel linguaggio umano vi sia qualcosa di universale insito nell’uomo in quanto generato con esso.
Come accennavo poc’anzi, la presenza di una struttura linguistica non ci deve qui trarre in inganno: la sequenza, caratteristica delle regole del gioco di cui parliamo, ci porta ad assimilarne i ragionamenti al pensiero generativista e non a quello strutturalista.

Per esemplificare la questione in modo rapido, senza divagare troppo, immaginiamo di dover tradurre la frase “prendere in giro” in un’altra lingua… è chiaro che la traduzione non può essere letterale ma essa dipende dalla struttura creata nella nuova lingua per esprimere tale concetto, in inglese potrebbe essere “to pull my legs” se non erro.
Dal punto di vista dell’analisi storica, quindi, è interessante scoprire come certe strutture possano essere nate e seguirne l’evoluzione.
Nel caso dell’espressione “salvare capra e cavoli”, per esempio, sappiamo che essa deriva dal noto rebus nel quale bisogna riuscire a fare attraversare indenni un fiume ad un lupo, una capra e dei cavoli..
Tale indovinello compare nel testo di Alcuino da York “Problemi per rendere acuta la mente dei giovani” scritto nell’VIII secolo, quando, alle dipendenze di Carlo Magno, fu incaricato di istituire un programma scolastico che accomunasse l'Europa dell’epoca.
Sarebbe logico aspettarsi pertanto, secondo le tesi strutturaliste, che questa costruzione lessicale sia traducibile letteralmente rimanendo comprensibile in tutta Europa, poiché attinge da una fonte culturale comune, ma non, magari, in Asia dove per esprimere lo stesso significato si utilizzerà sicuramente una struttura linguistica differente.
Questo esempio, pertanto, è assimilabile a quello dei giocattoli che cambiano, rispecchiando le mode e tendenze del luogo e del momento.
Un esempio completamente diverso lo troviamo immaginando di dover tradurre la vignetta di un fumetto in cui si vede il volto radioso di un personaggio con al suo fianco sospesa una lampadina altrettanto raggiante.



Come si può tradurre questo concetto “d’illuminazione” nelle diverse lingue?
Sorprendentemente pare che quella vignetta non necessiti di alcuna traduzione (almeno tra le popolazioni che conoscono la lampadina), generalmente essa viene interpretata nel corretto modo da differenti culture, così come pare che universalmente in tutti i linguaggi conosciuti esista un vocabolo che associ “ luce” e “luminosità” al concetto di raggiungimento di una verità superiore.

Questo secondo esempio, affiancabile alle tesi generativiste, descrive ciò che succede anche nel mondo del giochi da tavola antichi, le cui sequenze astratte e le mosse su schemi di gioco simili sono riscontrabili in differenti culture, anche in assenza di contatti verificabili, con variazioni e differenziazioni minime e trovano la loro genesi dall’astrazione di processi logici mentali universali, come fossero espressioni tipiche dell’umanità intera.
Il processo di astrazione che ha condotto l’uomo alla creazione di simili sequenze è la stessa che l’ha condotto alla logica ed alla matematica; linguaggi universali utilizzati per meglio comprendere ed interpretare la realtà che ci circonda.
I primi gesti compiuti per aiutarsi in questi processi di astrazione sono evidentemente altrettanto universali: l’uomo ha utilizzato la sabbia come lavagna e, nel linguaggio di diverse culture classiche così come in quelle indo-asiatiche, si riscontrano tracce di tale passaggio grazie a molteplici termini, sopravvissuti, contenenti la parola “sabbia”, che fanno riferimento al mondo del gioco e a quello della matematica.

Un'associazione, quella tra calcolo, gioco e sabbia che sembra perdurare fino ai giorni nostri: basta tener presente che le ultime tecnologie, utilizzate tanto per dar vita a nuovi giochi quanto ad accrescere il potenziale di calcolo, fanno uso di chip al silicio...
Anche oggi, quindi, il mondo della matematica vive in connubio con quello del gioco concretizzandosi in qualche modo attraverso la sabbia...

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Parlando di “gioco tra storia e tradizione” ci si rende conto di quanti interessanti argomenti sia possibile trattare mettendo in relazione questi vari temi.
Esistono innumerevoli e differenti significati che il gioco, come rito sociale, ha assunto in diversi periodi, concetti che, a mio avviso, hanno rispecchiato aspetti e valori collettivi che si sono susseguiti nelle varie epoche.



I giocattoli d’un tempo, per esempio, ci parlano esplicitamente del momento in cui erano più in voga: Le bambole in porcellana coi loro ricchi abiti di pizzo ci comunicano i romantici gusti estetici di fine ottocento; I soldatini, gli autoblindo e i carri armati possono farci intendere i valori del ventennio fascista nel quale erano diffusissimi. Quando nel dopoguerra l’Italia si trovava a dover fronteggiare i problemi di viabilità, creati dalle nuove esigenze del boom economico, si giocava prevalentemente con trenini e macchinine ed, infine, negli anni ottanta, con la guerra fredda che vedeva le due superpotenze contendersi la conquista dello spazio, i giochi preferiti erano astronavi e robot.



Altri tipi di gioco tradizionali, radicati forse più profondamente nella cultura rurale italiana, come trottole, la lippa, la corda da saltare etc. ci rimandano l'immagine di un mondo austero in cui la manualità e la fisicità avevano una funzione importante. Allora bastava l'accortezza e il lavoro improvvisato di un parente (generalmente si trattava del nonno, che si era conquistato sul campo, con un'intera esistenza dedicata al duro lavoro, il diritto di spendere tempo in questo genere attività considerate secondarie e di ripiego) che col suo coltello e con movimenti studiati ad arte, su un pezzo di legno da intagliare, riusciva a dischiudere agli occhi meravigliati dei fanciulli interi mondi da esplorare.



Ripercorrere la storia del gioco, però, non offre solo l’occasione di indagare, in modo particolare ed originale, i valori che hanno contraddistinto le differenti culture che si sono succedute nel tempo, ma anche di parlare più generalmente della natura umana e delle sue caratteristiche più intrinseche.
Il gioco “astratto”, per esempio, contraddistinto da aspetti logici e strutture di regole razionali, immutabili nel tempo, sembra scivolare sulle vicende dell’uomo, oltrepassando anche i più rigidi confini creati dalla storia, per parlare più profondamente dell'essenza dell'individuo e delle sue origini.
Una sorprendentemente profonda testimonianza di questi argomenti ci giunge dalla letteratura medievale e si trova nel “Libro dei giochi” voluto da Alfonso X di Castiglia e Leon nel XIII secolo.
Nell’introdurre l’argomento gioco, il sovrano afferma, infatti, che l’uomo ha una naturale propensione a ricercare, con lo svago, uno stato di allegria che gli è necessario per affrontare con rinnovata serenità le difficoltà della vita.
Cita, quindi, diverse tipologie di gioco, alcuni antesignani degli odierni sport, giostre e tornei (giochi che si fanno stando in piedi o a cavallo) e i giochi da tavolo dell’epoca (che si fanno stando seduti) i quali vengono reputati i migliori per raggiungere quello stato di “allegria” necessaria all'individuo; essi sono considerati i più importanti proprio perché possono portar sollievo a quelle persone che, essendo costrette in casa, in prigionia o a letto, hanno maggior bisogno di svago.



Conseguentemente una minuziosa descrizione dei giochi da tavolo dell’epoca e delle loro regole diviene la parte centrale del prezioso codice medievale.
Erodoto, (485-425 a.C.), del resto, nel suo libro “Storie” (I,94,2 sgg.) sosteneva che l’invenzione di diversi svaghi e passatempi, come il gioco dei dadi e degli astragali, fosse dovuta ai Lidi, una popolazione dell’Asia minore da cui sembra discendessero gli Etruschi.
Tale ideazione sarebbe dovuta, secondo lo storico, al tentativo di non sentire i crampi della fame durante una terribile carestia che portò la popolazione dei Lidi (dai quali sembrerebbe derivare il termine latino Ludus) ad impegnarsi a giorni alterni nelle pratiche ricreative da loro inventate.
Essi riuscirono così facendo a sopportare condizioni di vita d’indigenza per ben 18 anni.
Al di là della possibile iperbole narrativa, la testimonianza è significativa riguardo alla credenza di caratteristiche “anestetizzanti” del gioco, argomento parzialmente riscontrabile anche in una novella di Esopo (VI sec. a.C.) che vede il narratore stesso quale protagonista.
Egli viene canzonato da un ateniese di passaggio, mentre si intrattiene per strada giocando come un ragazzino; Esopo ribalta i ruoli, passando da dileggiato a derisore, quando, mostrando al passante un arco con la corda allentata, lo interroga sul significato di quel gesto.
Il silenzioso imbarazzo dell’ateniese viene, infine, interrotto dalla spiegazione del saggio: “Presto romperai l’arco se lo tieni sempre teso, ma se lo tieni allentato, sarà sempre pronto quando ne avrai più bisogno. Così si deve dare qualche svago alla mente perché resti sempre pronta a riflettere adeguatamente in caso di necessità”.
In base a queste testimonianze storiche, si può capire quanto, in epoche lontane, il gioco venisse visto, come un bisogno tutt'altro che secondario per il raggiungimento di un esistenza armoniosa e la cosa sembra, in prima battuta, generare stupore all'uomo moderno, ridotto spesso ad inconsapevole consumatore bulimico di svaghi e distrazioni.



Bisognerebbe provare a calarci completamente in una realtà dove la musica non si ritrovi amplificata in ogni ambiente possibile, senza televisione, né monitor, senza cinema, films o partite di calcio, senza canali satellitari o connessioni web, senza Ipod, niente concerti, niente libri né teatro, nessuno svago democraticamente dispensato in modo pressoché gratuito, alla portata di chiunque, per capire l'importanza del gioco.
(Dalla lista ometto volontariamente ogni tipo di gioco d'azzardo, lotteria, gratta e vinci etc., consapevole che tali argomenti meriterebbero un discorso a parte)
Bisognerebbe trovarcisi con la consapevolezza che non si tratta di una parentesi momentanea dettata da pose estetiche e nostalgiche , ma che questa “privazione” rappresenta la muta realtà continua della nostra esistenza, per riuscire a trovare il giusto valore che il gioco, come intervallo di svago alla portata di tutti, può arrivare ad assumere.
Questo stato di cose, ben lontano da essere semplicemente una suggestione personale, trova riscontro, come già detto, in numerose testimonianze sia antiche che di epoca medievale che sembrano dare, alla possibilità d’astrazione, rappresentata dal gioco, un’importanza basilare per l’equilibrio individuale.
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Prosegue l'analisi delle varie tipologie di utensili da taglio immanicati.
Dopo aver visto le differnze tra scure, ascia e d accetta, mi voglio dedicare, infatti, alla descrizione delle diverse tipologie di scuri riscontrabili nelle nostre tradizioni.

L'utilizzo di una "dolaora", una scure da squadro di tradizione italiana.


Secondo l'articolo di Mauro Agnoletti dal titolo “Indagine sulla tecnologia degli attrezzi da taglio in Trentino” pubblicato su “SM Annali di San Michele” N° 9-10, anno 1997, le scuri sarebbero suddivisibili in queste principali categorie:

  • da abbattimento
  • da spacco
  • da scortecciatura
  • da squadratura

Penso che quest'ultima tipologia sia, per molti aspetti, la più interessante, essendo quella che permette maggior controllo sulla distanza di fenditura, particolare necessario per una corretta prassi nella lavorazione del legno.
Prima di scendere in specifiche descrittive, occorre dire che il termine “scure da squadro”, denominazione riduttiva a mio parere, si usa per definire ogni scure atta alla realizzazione o rifinitura di una superficie piana.
Non si tratta dunque di attrezzi necessariamente vincolati alla lavorazione di un tronco solo per la realizzazione di travi.
Prima di venire condannate all'oblio, a causa dell'introduzione massiccia di processi di lavorazione industriale, tali scuri sopravvissero a lungo in ambienti di carpenteria dove il saper lavorare lungo le venature del legno rendeva non ancora competitive le nuove macchine utensili.

Dobbiamo pensare, però, a queste scuri come ad attrezzi atti alla lavorazione del legno in senso più ampio che venivano utilizzati, prima dell'abbandono, sia nelle botteghe di carrai, che in quelle di bottai, zoccolai, mobilieri, fabbricatori di sedie e di utensili da cucina etc. oltre che, come già detto, nei cantieri di carpenteria tanto navale quanto civile.

Ovviamente nei vari casi venivano a cambiare, oltre alla forma, il peso, le dimensioni e la lunghezza del tagliente.
Si trattava di attrezzi professionali che, a tutti gli effetti, richiedevano una buona fattura e presentavano alcune caratteristiche comuni.
Innanzitutto erano scuri dotate di lame mediamente di sezione molto più sottile rispetto a quelle delle tipologie da spacco, dovendo giocoforza ridurre al minimo la funzione del cuneo della lama a favore di un maggior controllo sull'azione del tagliente.


I diversi profili di alcune scuri: a sinistra una breitbeil di origine austriaca, in centro una scure da spacco, a destra una scure da squadro italiana con lama leggermente convessa.

Doveva inoltre essere possibile maneggiare tali attrezzi avvicinando il punto di presa alla testa, fino a portarlo dietro al filo del tagliente in modo da consentire di operare semplicemente facendo scorrere la lama attraverso una semplice torsione del polso, senza l'ausilio cinetico del movimento del braccio.
La porzione di ferro affilata, mediamente lunga, veniva a collegarsi all'occhio che permetteva l'immanicatura attraverso uno stretto collo, e questo ha spesso dato vita ad attrezzi dall'aspetto molto accattivante e aggressivo nonostante si trattasse, in effetti, di espedienti pensati per migliorare la precisione dell'azione del tagliente.


la riproduzione di una scure da squadro ispirata ad iconografie medievali.

Per ottenere questo controllo occorreva, come già accennato, diminuire la distanza di fenditura che si forma tra il filo del tagliente e il punto in cui il legno si taglia e questo poteva avvenire anche grazie al sollevamento di schegge molto sottili, simili a trucioli.


Schema che esemplifica come, variando l'angolo di lavoro ed operando per staccare porzioni di legno sottili, si possa controllare la distanza di fenditura.

Per questo frequentemente, le scuri da squadro presentano lame di sezione assimetrica, pensate per “sollevare” piccole porzioni di legno mediante colpi praticati in senso quasi parallelo alla superficie da realizzare (con angolo di lavoro minimo).

Sotto questo punto di vista il termine più corretto potrebbe essere scure “da lato”, denominazione che fa riferimento alla caratteristica asimmetria della lama che viene a presentare il bisello (il “taglio inclinato” che permette l'affilatura) posizionato solo su un lato mentre il lato opposto risulta essere più piatto possibile.
L'immanicatura di queste lame asimmetriche venne ad essere fissata con un angolo di circa 15/20 gradi rispetto all'asse del tagliente, cosa che permetteva di lavorare con angoli d'incidenza minimi senza compromettere la sicurezza delle nocche dell'operatore, preservandole da scontri dannosi con la superficie in lavorazione.
Esistevano quindi scuri destre e sinistre, utilizzate per lavorare il legno su superfici opposte anche in presenza di ostacoli che avessero obbligato l'artigiano a posizioni scomode in mancanza di questa possibilità.
La frequenza con cui si riscontrano scuri da lato sia “destre” che “sinistre” ci affranca, del resto, dalla errata credenza che si potesse trattare di strumenti pensati per mancini.
Esistono, per di più, esempi di scuri da squadro con testa simmetrica, il cui solo elemento fuori asse è costituito dall'impugnatura che presenta una curvatura che la porta a raggiungere l'angolo d'immanicatura di 12 gradi: questi strumenti, semplicemente mediante la rimozione del manico che poteva essere posizionato in ambo i versi si potevano adattare per lavorare superfici sul lato destro o sinistro.
La cosa può lasciare perplessi coloro che sono avvezzi all'uso di scuri da abbattimento o da squadro il cui manico è saldamente fissato tramite un cuneo interno che aprendo a metà la porzione di legno che entra nell'occhio della testa, lo fissa in maniera irreversibile, ma in attrezzi come le scuri da squadro, più propensi ad un uso di precisione e non “da botta” non è inusuale la possibilità di rimuovere con facilità il manico per meglio adempiere alle operazioni di affilatura, dato che la lama, per un uso corretto, deve rimanere costantemente affilata come una sgorbia o uno scalpello.


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Nell'e-book “La preziosa concessione” ho avuto modo di descrivere come il legno, nelle civiltà passate, fosse considerato quale elemento primario e materia universale.


La copertina dell'ebook acquistabile qui: http://stores.streetlib.com/it/ezio-zanini/la-preziosa-concessione/

Gli alberi dai quali esso si ricavava, aggrappati alla terra con le proprie radici, spingevano i rami verso il cielo e, nell'immaginario dell'epoca, formavano col proprio tronco il legame che teneva uniti terra e cielo, sfera materiale e sfera ideale.
Attraverso il fusto legnoso, quindi, si andava a concepire la presenza di un canale che metteva in comunicazione i due mondi, permettendo il concretizzarsi di quelle idee che, scendendo dal mondo astratto, potevano prendere forma materiale, così come in senso opposto il mondo imperfetto e terreno poteva ambire, attraverso le fibre del legno, al suo perfezionamento e completamento.
Questo accadeva nell'antichità, ma ogni realtà tangibile esiste e persiste quali che siano i modelli che l'uomo adotta per spiegare il mondo che lo circonda.
Oggi assistiamo infatti alla rivalutazione di tradizioni secolari, attraverso nuove tendenze nella lavorazione del legno che, ancora una volta, sembrano dare peso ed importanza sostanziale al rapporto tra uomo e materia, piuttosto che focalizzarsi sul risultato effettivo di tale pratica.
Discipline che prevedono la lavorazione “unplugged”, per esempio, focalizzano l'attenzione su quelle esperienze che consentono la trasformazione del legno senza ricorrere a fonti d'energia esterne, recuperando l'uso di attrezzi e tecniche del passato.


Intaglio di una finestrella triangolare in legno di tiglio.

Lo stesso si può dire per la falegnameria cosiddetta “green” che incentra il suo campo di interesse sulla lavorazione di legni non ancora stagionati, per ottenere manufatti partendo dalla materia grezza; dal tronco in sostanza.
Tale dottrina rende necessaria la conoscenza di una serie di pratiche, per l'assemblaggio delle strutture più elaborate, che permettono di prevenire le deformazioni in fase di stagionatura, facendo in modo che il risultato finale non venga compromesso dall'essiccazione del legno che avviene praticamente a lavoro ultimato.
La messa in pratica di queste discipline comporta, insomma, una profonda conoscenza dell'elemento su cui si va ad agire e questo, inequivocabilmente, porta con se una serie di attenzioni verso la realtà naturale che ci circonda incrementando il rispetto per ogni essere vivente e la ricerca di sempre maggior sostenibilità per le azioni e lo stile di vita della comunità umana.


La superficie lavorata a mano si rivela attraverso il susseguirsi di segni. Ogni segno è il risultato combinato di diversi elementi: la fibra della materia, la lama dell'utensile ed il gesto dell'artigiano.
Nelle nostre realizzazioni ognuno di questi fattori viene bilanciato con cura.

Noi abbiamo iniziato la nostra attività utilizzando diversi elettro-utensili, ma la ricerca di maggior veridicità e la conoscenza delle pratiche del passato ci hanno conquistato gradualmente, portandoci, oggi, a preferire l'uso di strumenti manuali.
Ovviamente non sempre ci è possibile rinunciare all'uso di attrezzi alimentati elettricamente, ma, anche quando ricorriamo ad essi, manteniamo un fondamentale rispetto per il legno per il quale nutriamo la consapevolezza che si tratta di materia viva.
Il suo respiro, causato dalle variazioni d'umidità, provoca continui movimenti dei quali è necessario tener conto in fase progettuale e la trama formata da fibre e pori si può rovinare se aggredita da lavorazioni troppo stressanti.
La stessa lavorazione manuale impone ritmi ponderati ed una precisa grammatica alla quale occorre affidarsi: è il legno in lavorazione, con le sue peculiari venature, sempre diverse, che detta le regole alla quali è opportuno attenersi per ottenere, con maggior facilità, risultati soddisfacenti.
I processi di lavorazione si sviluppano, quindi, come partiture di un dialogo che mette continuamente a confronto i progetti dell'artigiano con la realtà materiale del pezzo di legno, il quale può essere tanto docile e malleabile quanto caparbio e tenace.


Cornice in legno di tiglio realizzata completamente a mano.

Per questo dedichiamo attenzione particolare alla parte compositiva di ogni nostro progetto, scegliendo, tra i legni a disposizione, quelli più adatti a svolgere il compito statico che l'insieme richiede.
Una volta trovato il pezzo adatto ad ogni parte del progetto, non resta che provarne le caratteristiche effettive, plasmandolo con scure, ascia, pialla o sgorbia...
Questi utensili ci danno spesso la possibilità di lavorare il legno partendo dal tronco stesso, per ottenere, attraverso diversi passaggi, le pezzature più congeniali alle differenti esigenze di lavoro che ci accingiamo ad intraprendere.


"Spiccatura" del tronco attraverso scuri e cunei.

L'utilizzo manuale di lame affilate conferisce alle superfici lavorate una finitura caratteristica, dotando, nel contempo, la nostra produzione di quegli stessi segni di lavorazione distinguibili su molte opere originali.
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Foto scattata dal Sig. Antonio Di Tommaso.

In occasione della Festa Medievale di Varzi (PV) che si è svolta lo scorso fine settimana, invitati dal Sig. Giorgio Rizzotto e dall'associazione Varzi Viva , abbiamo allestito la ricostruzione di un'ipotetica bottega di falegnami di inizio '400.
Attraverso le diverse postazioni da lavoro è stato possibile presentare al pubblico l'evoluzione delle tecniche di lavoro che coinvolsero il settore di quel periodo.




 L'affluenza è stata maggiore di quanto credessimo ed il pubblico che ci ha fatto visita nelle due giornate si è interessato alle lavorazioni in atto, domandando in più occasioni ragguagli e maggiori informazioni riguardo l'uso dei vari attrezzi e la loro storia.



Proponiamo quindi alcuni scatti di questa bella esperienza.

Intaglio e sbozzatura ad ascia di una scultura a tuttotondo.
 

Intaglio e sbozzatura ad ascia di una scultura a tuttotondo.


Piallatura delle tavole per una ipotetica ricostruzione di cassa del XIV secolo (visibile in basso)



Intaglio con sgorbie e mazzuolo




Intaglio e rifinitura degli incastri di uno sgabello alto medievale (realizzato interpretando i ritrovamenti Merovingi di Qberflacht)



Intaglio decorativo a fondo ribassato per una replica di cassetta dell'alto veneto della prima metà del XV secolo



Tessitura a tavolette. Foto scattata da Antonio Di Tommaso

La nostra soddisfazione dipinta in volto in uno scatto di Luca Crotti

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