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Viduquestla

Abbiamo realizzato un cofanetto ispirandoci ad una lavorazione artigianale già presente nel Veneto nord orientale del XV secolo.
La tecnica ornamentale a fondo ribassato che lo contraddistingue è realizzata mediante l'intaglio di elementi decorativi piatti, posti in evidenza grazie ad un fondo leggermente incavato e bulinato con l'utilizzo di punzoni, a cui viene reso maggior contrasto grazie al riempimento dei segni con “mastici colorati” formati da un mix di cere e pigmenti.

Il cofanetto a findo ribassato realizzato da noi.
Per la realizzazione del cofanetto ci siamo ispirati ad alcuni esemplari del XV secolo, appartenenti a collezioni private, pubblicati nel volume dedicato alle province di Vicenza, Treviso e Belluno de “MILLE MOBILI VENETI. L’arredo domestico in Veneto dal sec. XV al sec. XIX” (pagg. 14 – 16) scritto da Clara Santini .

Particolare del decoro sul pannello frontale.
Questi cofanetti tradizionalmente presentano decori formati da intrecci vegetali che, componendo ampie spirali, creano cornici adatte ad ospitare, nella prevalenza dei casi, gli animali protagonisti delle battute di caccia dell'epoca: falconi, cani, cervi o lepri.
Cofanetti di questa tipologia, uscendo da quella che sembra essere la loro area di provenienza (la zona dell'Adige), conobbero una diffusione territoriale molto ampia che interessò tutto il nord d'Italia.
Per la realizzazione del nostro cofanetto abbiamo optato per la rappresentazione di volatili, un elemento decorativo di derivazione bizantina che, attraversando i porti di Venezia, finì per diffondersi nell'entroterra dove venne contaminato, in epoca pre-rinascimentale, con elementi e temi, come quello della caccia, più caratteristici della cultura gotico-cortese.

Gli incastri a coda di rondine.

 Abbiamo, quindi, reputato che questa tipologia di decoro, con dei rapaci, fosse facilmente adattabile alle forme più distintive dei nostri lavori.
Il cofanetto è stato realizzato in legno di cipresso, la stessa essenza che compone gli originali di riferimento.

La realizzazione degli incastri a coda di rondine.
Ampi tavoloni in legno di cipresso sono stati segati a mano per ottenere le sottili tavole utili alla composizione della struttura.
Dopo una sbozzatura e piallatura manuale si è potuto procedere sia all'intaglio dei caratteristici incastri a coda di rondine che al decoro del pannello frontale.

Particolare delle code di rondine. Il primo “dente” in alto di ogni serie ha il taglio a 45°, una caratteristica distintiva di molti manufatti di questo tipo.

Fasi di intaglio del decoro a fondo ribassato.
Anche le cerniere metalliche e la piastra con il piccolo battirolo della serratura sono state realizzate da noi in forme e misure adatte al progetto.

Particolare della serratura.
Ecco alcune immagini dei passaggi di lavorazione e del risultato ottenuto.

L'intaglio del primo specchietto del pannello frontale finito.

Una prima prova di assemblaggio delle varie parti.
La bulinatura del fondo ribassato.
L'intaglio completo prima del riempimento con l'impasto di cera e pigmenti.
Il risultato finale.
Per seguire il nostro lavoro visita anche il sito di ViduQuestla!
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Fu con la civiltà classica dell'antica Roma che si iniziarono a definire le varie tipologie di attrezzi immanicati, in base alle loro caratteristiche e ruoli specifici.
A quel periodo, pertanto, risale anche la differenziazione tra scuri ed asce delle cui particolarità ho già scritto (leggi qui).
Un'ascia in sostanza offre la possibilità di lavorare una superficie frontalmente, non occorre pertanto posizionarsi di lato rispetto all'area sottoposta all'azione dello strumento come accade con una scure o un'accetta; questo può offrire dei vantaggi in molte situazioni operative.

Un'ascia arcaica con ghiera e cuneo a confronto con una più recente in cui il vincolo tra manico è lama è garantito da un occhio conico.
Strumenti aventi la doppia funzione di ascia e scure con le due lame situate sui lati opposti rispetto al manico, che si fanno risalire alla tarda età del bronzo Cretese, continuarono ad essere utilizzate e sopravvivono tutt'ora, ma per lo più, con l'avvento del ferro, gli utensili di questo tipo si andarono specializzando, evolvendosi ed ottimizzandosi per svolgere al meglio un numero di funzioni più circoscritto.
Risalgono al periodo romano, per esempio, alcuni bassorilievi lapidei in cui possiamo riconoscere una probabile antenata dell'ascia medievale, dalla quale a loro volta derivano quelle attuali.
Si tratta in effetti di un'ascia dotata di doppia immanicatura che potrebbe essere definita “a due mani” in quanto attraverso una biforcazione al manico tradizionale se ne aggiunge un secondo che permette di impugnare l'utensile con entrambe le mani.

Alcune rappresentazioni di asce a due mani su bassorilievi lapidei di epoca romana.
 
A dispetto delle barbariche suggestioni fantasy che il suo nome può suscitare, l'ascia a due mani è, in questo caso, un utensile di precisione utilizzato dai carpentieri romani, come testimonia l'abbinamento, nei bassorilievi in questione, con altri strumenti tipici del mestiere.
In sostanza l'attrezzo sembra dare la possibilità di combinare una funzione “da botta”, più efficace per staccare grosse quantità di materia come un'ascia normale, affiancandogli un impiego più preciso, per la rifinitura delle superfici, che si poteva attuare impugnandola da ferma a due mani come si farebbe con una pialla.
Questo secondo modo d'impiego, la cui specificità sembra scomparire nel medioevo, ci suggerisce come, dal punto di vista funzionale, anche le pialle e non solo le asce moderne, possano essere strumenti derivati da questa tipologia di attrezzi.

Una rappresentazione di ascia del XIII secolo dal bassorilievo della basilica di San Marco a Venezia, ed una del XV secolo, da un dipinto attribuito a Maso Finiguerra.

L'ascia medievale infatti, in base a diverse rappresentazioni dell'epoca, perde definitivamente la seconda impugnatura per rafforzare la sua funzione primaria; in questo periodo sembra comunque essere ancora presente, a testimoniare la parentela coll'attrezzo romano, un analogo sistema di fissaggio della lama al manico che avveniva tramite una ghiera ed un cuneo.
Le destinazioni d'uso di questa categoria di attrezzi dipendono sostanzialmente da dimensioni e forma della lama, che può essere dritta o avere curvature più o meno accentuate, per venire incontro alle esigenze di diverse categorie di maestranze.

Utilizzo di un'ascia a cuneo.
 In particolare la larghezza del filo, la sua curvatura ed il peso dell'utensile influiscono sul suo uso e pertanto esistono lame larghe e piane, utilizzate prevalentemente in carpenteria affiancate a lame più strette e arcuate che possono essere utilizzate a seconda della profondità della piega per rifinire la curva delle doghe di botti, di ciotole o cucchiai o ancora per scavare solchi, buchi e concavità di vario genere.
Proprio a questa categoria appartiene un arnese tradizionale, conosciuto nei territori di nord est d'Italia col nome di sapéta o sapéta a martèlo, nome derivato con tutta probabilità dalla forma dell'utensile.

La sapéta, un attrezzo tradizionale.
Si tratta di un'ascia particolare, con due strette lame contrapposte, una dotata di tagliente lineare e l'altra concavo, di forma un po' ricurva, poste a formare un arco sulla sommità del manico.
L'occhio centrale, che si viene a formare nel punto d'incontro delle due appendici opposte, risulta essere conico.
Questa particolarità accomuna molte asce tradizionali e moderne, permettendo di realizzare un'immanicatura removibile che risulta utile, come negli utensili più arcaici con lama fissata attraverso ghiera e cuneo, per eseguire operazioni di molatura ed affilatura delle lame la cui condizione, per un loro corretto uso deve sempre essere ottimale.

Utilizzo di una sapéta.

Se sei interessato ad altre informazioni sulla storia degli utensili ed il loro uso puoi consultare le nostre pubblicazioni. Clicca qui!

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Spesso capita di dover fendere grosse pezzature di legno per sbozzare la forma che si andrà a lavorare successivamente, quando si dovrà rifinirne con maggior precisione le superfici ed i vari dettagli.
Spaccare il legno lungo le fibre, in questi casi, offre alcuni vantaggi rispetto ad altri tipi di lavorazione.
In primo luogo l'operazione è più veloce poiché risulta molto più facile separare il legno lungo le fibre piuttosto che segarlo od asportarne le parti in eccesso con altre tecniche, per quanto esse possano essere facilitate da elettro-utensili.
Fenderlo, soprattutto, dà la possibilità di iniziare a esaminare il pezzo che abbiamo in mano, verificandone la compattezza delle fibre, eventuali difetti, la direzione delle venature o loro critici cambi di direzione.

Mazzuolo e fenditore, attrezzi utilizzati per questo genere di operazione
Quindi l'operazione che si sta compiendo manualmente offre l'occasione di interpretare al meglio tutte le caratteristiche del legno, per la realizzazione del progetto che abbiamo in mente.
Questo studio preliminare, insomma, ci permette di iniziare a conoscere il materiale appena messo in opera, affrancandoci da brutte sorprese che potrebbero complicare il lavoro in fasi successive.
Per fendere il legno lungo le precise linee da noi scelte non ci si può però affidare all'azione dinamica di una scure, la cui imprecisione potrebbe creare danni alle fibre del legno, sottoponendole a stressanti colpi col rischio di pregiudicare la compattezza della parte che ci serve integra.
Per questo si agisce appoggiando una lama sulla superficie, nel punto in cui si vuole generare la fenditura, per batterla col mazzuolo, facendola penetrare per divaricare e separare le fibre.
Se per piccoli lavori per questa operazione può bastare una accetta o una scure, quando si debbono fendere superfici più estese è bene affidarsi ad un fenditoio: una pesante lama con manico a squadra conosciuta anche come “scandolara” o “ferro per scandole” (splitting froe, in lingua anglosassone).

L'utilizzo di un fenditore
Infatti esso veniva utilizzato principalmente per ricavare scandole, sottili tavolette adatte per le coperture dei tetti in legno, ma è uno strumento che può risultare efficace anche per la realizzazione di tavolame, raggi di ruota, sgabelli o pezzature per zoccoli, ciotole o vassoi.
Il “Grande manuale degli utensili” di Albert Jackson e David Day, ne attesta l'origine presso gli antichi romani pur non fornendo documentazione a sostegno di tale affermazione.
I ritrovamenti risalenti all'epoca classica, in effetti sono rari, ma, probabilmente, la tesi è dovuta alla funzione primaria dell'utensile: produrre le scandole che, secondo il De Architectura di Vitruvio Pollione (I sec. A C.), ricoprirono gli edifici di Roma, per centinaia di anni, prima di venire sostituite dai coppi in laterizio.
Esistono del resto svariate testimonianze dell'utilizzo di scandole in tutta Europa, anche in epoca medievale ed in statuti ed atti notarili di quel periodo se ne definiscono addirittura misure, materiali e proporzioni: tutti dettagli stabiliti per legge.
A causa del timore degli incendi l'uso di scandole scemò, in Italia, a partire dal 1700, e rimase quale particolarità architettonica solamente in alcune valli dell'arco alpino od in sporadiche, isolate costruzioni.

Forse a causa della drastica diminuzione dell'utilizzo di questi manufatti, oltre che al disuso generale che ha coinvolto gli utensili manuali, il fenditoio risulta essere, oggi, a dispetto della sua reale efficacia, un attrezzo raro da incontrare.
Esso è formato da una lunga lama robusta, con cuneo molto aperto e manico montato ortogonalmente sul lato opposto al tagliente.
Come già accennato, poggiata la lama sul pezzo da fendere, tenendo il manico in verticale, si batte sul dorso, provvisto di apposito rinforzo, con un mazzuolo di legno.

La lunga lama è pensata per divellere e separare le superfici affondando nella materia lignea senza rimanervi incastrata; su di essa, infatti si può agire ripetutamente grazie al manico ed alla porzione di punta della lama che risultano affioranti dal materiale in lavorazione.
Il manico innestato a novanta gradi si offre inoltre come un'efficace leva, che permette di torcere l'attrezzo all'interno della fessura per sollecitare il divaricamento dei pezzi di legno.

L'operazione di leva col manico per aprire la fenditura
Questo, a parere mio, risulta essere uno dei pochi attrezzi, se non l'unico tra quelli utilizzati per la lavorazione tradizionale del legno, con il quale questa operazione di leva, che tende a sollevare le fibre aumentando l'inclinazione della lama, è praticabile con reale efficacia.
Con sgorbie, scalpelli, scuri o accette, al contrario, sconsiglio vivamente questa pratica, sia per l'impossibilità di governare l'effetto ottenuto, sia per l'azione potenzialmente deleteria sul filo del tagliente.
Con l' utensile di cui stiamo parlando, però, si eseguono lavori di sbozzatura preliminare in cui il controllo sull'azione fendente può essere secondario (o affidato ad altre accortezze); l'affilatura dell'attrezzo, per di più, non necessita di essere molto curata e precisa (in accordo con la larga sezione a cuneo e con la funzione stessa della lama), conseguentemente, facendo leva sul manico, non si corre il rischio di danneggiare il filo durante la manovra di torsione.


Se vuoi conoscere meglio la nostra attività puoi visitare il sito ViduQuestla.




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