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Viduquestla

Per realizzare questo complemento d'arredo ci siamo ispirati ancora una volta al Trittico Mèrode di cui abbiamo già parlato (leggi qui).

La nostra ricostruzione a confronto con la staffa dipinta nel trittico di Mérode attribuito a Robert Campin attualmente custodito al Metropolitan Muesum of Art di New York .

 

Le scene dettagliatamente rappresentate sono state per noi spunto per diverse ricostruzioni, soprattutto degli attrezzi da falegname, che si possono vedere in molti nostri scatti (per esempio qui).

 

In questo caso ci siamo concentrati sulla staffa che si vede sullo sfondo appesa in alto, nel pannello centrale.

Essa sembra essere incardinata attraverso dei gangheri direttamente infissi nel muro e essere pertanto ripiegabile lungo la parete in modo da ridurre l'ingombro della staffa vera e propria.


Abbiamo deciso di realizzare la nostra ricostruzione in legno di castagno, successivamente tinto e finito con cere colorate per rendere la lucidità caratteristica del materiale rappresentato nel quadro.


Ecco le fasi di lavorazione ed alcune immagini del risultato del nostro lavoro.

Piallatura dei vari elementi che compongono la struttura.

 
Realizzazione degli incastri per l'assemblaggio delle varie parti.

 

Intaglio del fregio interno alla squadra della staffa.

 

Intaglio del pannello frontale.

 

Il volto in bassorilievo sul pannello frontale.

 

L'oggetto allo stato grezzo.

 

Il volto finito.

 

La squadra che sorregge la staffa.

 

Il porta-asciugamano finito.

Per salvaguardare la possibilità di utilizzo del nostro complemento d'arredo in diversi contesti abbiamo pensato ad un pannello posteriore appendibile alla parete.

Esso è stato fatto in modo da sorreggere la staffa, garantendo la possibilà di "esrarla" per poter essere utilizzata in diversi ambienti ricostruttivi.

 

LA preparazione del pannello che funge da supporto.

La staffa estraibile montata sul supporto.

La rotazione garantita dal supporto.


 

 

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Questo è un progetto che vede coinvolte più persone con competenze e compiti differenti.

Alberto Carminati della Compagnia d'Arme del Carro di Bergamo oltre ad essere il promotore dell'iniziativa ha fornito informazioni utili alla corretta interpretazione delle fonti storiche, suggerendo ipotesi e ragguagli su proporzioni e dimensioni della lancia.

Suo sarà inoltre il compito, a lavoro finito, di testarla per provarne la maneggevolezza e proporre, in caso di difetti di bilanciamento, le eventuali modifiche da apportare.

Giovanni Sartori opererà in qualità di fabbro, ricostruendo le parti metalliche grazie alla sua conoscenza delle tecniche metallurgiche del periodo in questione.

Io mi sono occupato della struttura lignea e questo post tratterà solo di questa fase del lavoro; a tempo debito verranno documentate dai diretti interessati anche le altre fasi ed i risultati finali.

 

A: Particolare dell'opera di Paolo Uccello, “Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini”, 1438, National Gallery, Londra.

B: Particolare dell'opera di Paolo Uccello, “Disarcionamento di Bernardino della Carda”, 1438, Uffizi, Firenze.

C: La nostra ricostruzione: lung = 357 cm, Ø max = 79 mm, Peso = 7,5 kg


Per realizzare la lancia ci siamo ispirati a diverse iconografie, facendo riferimento soprattutto agli esemplari dipinti nel trittico del 1438 la “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello.

Riconoscendo che le raffigurazioni dell'epoca non potevano avere rappresentazioni di lance in una scala precisa, se non altro perché nell'insieme compositivo questo particolare perdeva d'importanza, ci siamo orientati, nel disporre dimensioni e proporzioni della nostra ricostruzione, facendo riferimento a dati relativi ad alcune lance esistenti.

Dovendo ricostruire una lancia del XV secolo e volendo applicare prassi di lavoro compatibili con quelle presumibilmente utilizzate in quel periodo, la prima tecnologia che mi è venuta in mente è quella del tornio.

Man mano che cercavo mentalmente di immaginare i vari passaggi per arrivare ad ottenere un manufatto dalle caratteristiche desiderate, questa soluzione mi sembrava sempre meno probabile.

Le dimensioni del pezzo iniziale, la sua sostanziale flessibilità dovuta all'esiguo spessore in rapporto alla lunghezza, mi sembravano contrastare con la possibilità di usare un tornio ad arco come quelli medievali, dotati semplicemente di due contropunte, senza il supporto di lunette per tenere in asse il lungo pezzo in rotazione.

 

A: Inizio di sbozzatura con tecniche di carpenteria.

B: Particolare dal manoscritto Hausbuch der Mendelschen Zwölfbrüderstiftung, Amb. 317.2°, Volume 1°, f. 61 recto, 1426-1437, Norimberga.

B: Sbozzatura con scure da squadro.


Al contrario, il percorso di lavoro a mio avviso più credibile era quello che prevedeva di operare con tecniche assimilabili a quelle della carpenteria dell'epoca; per questo mi sono indirizzato verso questa seconda ipotesi, cercando di documentare ogni passaggio con analoghi lavori raffigurati in illustrazioni del XV secolo.

L'analisi di un'iconografia in particolare mi ha fatto indirizzare verso questa soluzione, convincendomi che l'utilizzo di simili tecniche potesse essere fondato e non solo frutto di vane speculazioni mentali.

Si tratta dell'insegna dei remèri veneziani del XV secolo: qui il personale specializzato nella realizzazione di remi per imbarcazioni viene rappresentato nell'intento di svolgere le proprie mansioni utilizzando scuri da squadro e pialle.

 

A: Sbozzatura con scure da squadro

B: Rifinitura con pialla.

C: Particolare dell'insegna dei remèri del 1517, BMCVe, classe 1, 2100, Venezia.


Questo genere di attività si collocava a Venezia all'interno di quello che possiamo considerare il primo complesso industriale della storia europea, per cui è difficile immaginare che sull'insegna dei remèri fossero rappresentate maestranze improvvisate o poco aggiornate riguardo le tecniche di lavorazione del proprio mestiere.

Remi e lance, inoltre, sono manufatti con caratteristiche simili per proporzioni e dimensioni, e condividono anche la necessità di essere lavorati lungo le fibre del legno in modo da poter essere leggeri, resistenti e flessibili, senza presentare facili punti di frattura; di entrambi i prodotti, inoltre, si richiede un bilanciamento preciso per preservarne maneggevolezza ed ergonomicità durante lo svolgimento delle loro, pur distinte, funzioni.

Per rimanere fedeli fin dal reperimento del materiale alle tecniche dell'epoca si sarebbe dovuto partire da un tronco di adeguate dimensioni, per fenderlo a spicchi grazie e scuri e cunei, ma purtroppo questo non è stato possibile.

Mi sono pertanto procurato una pezzatura di legno di frassino sovradimensionato rispetto alle esigenze, in modo da poter lavorare lungo le fibre, asportando l'eccesso.

Il grosso tavolone di frassino è stato ottenuto in segheria e pertanto presentava le superfici non perfettamente allineate con la direzione delle venature del legno, per questo s'è dovuto operare per correggere questa errata impostazione iniziale.

 

A: Dettaglio dal libro “Catherine of Cleves Hours” del 1440, Morgan Library, MS M.917 pp. 104 - 105, New York.

B: L'operazione di tracciatura della sagoma della lancia.


Attraverso l'utilizzo di una “lignola” composta da uno spago di canapa impolverato di gesso si sono potute tracciare le prime linee di riferimento sui quattro lati.

Si è iniziato col segnare l'asse della lancia lungo le venature e successivamente si è delineata la forma della sagoma dei due tronchi di cono che si volevano ottenere.

Tendendo lo spago lungo il tracciato da segnare lo si è pizzicato rilasciandolo per farlo sbattere sulla superficie: si sono potute così ottenere precise linee rette segnate con polvere di gesso.

 

A: Particolare del manoscritto francese di Pierre Bersuire del 1350, Ab Urbe condita di Tito Livio, Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Français 263, fol. 113 recto.

B: Particolare in cui viene rappresentato l'utilizzo di tacche trasversali per la squadratura di un tronco tratto da Hausbuch der Mendelschen Zwölfbrüderstiftung, Amb. 317.2°, Volume 1°, 1528-1533, Norimberga.

C: La realizzazione di tacche per facilitare l'asporto del materiale.


Per facilitare l'asporto del materiale in eccesso ho realizzato delle tacche trasversali: in questo caso, dovendo operare su legno stagionato piuttosto compatto, ho utilizzato una sega, attrezzo che mi sembrava decisamente più funzionale rispetto ad una scure.

 

A: Particolare degli affreschi del Palazzo della ragione di Padova realizzati su precedente impostazione Giottesca da Nicolò Miretto e di Stefano da Ferrara dopo l'incendio del 1420.

B: Utilizzo della scure da squadro.


Quindi, con una scure da squadro, ho provveduto a sagomare il legno nella forma voluta.

Ho scelto di lavorare prevalentemente in piedi sul pezzo; questo oltre ad offrirmi la possibilità di fermarlo col mio peso, mi ha garantito un buon controllo sull'ortogonalità delle superfici che di volta in volta andavo a realizzare.

Per lavorare così ho tenuto il gomito sinistro puntato stretto al corpo, producendo colpi con il movimento dei soli avambracci ed utilizzando il braccio destro, in posizione arretrata sul manico, per controllare l'azione della punta della lama, in profondità: questa procedura ha aumentato la precisione dello strumento garantendo nel contempo che l'attrezzo non finisse per ferire il piede scoperto (visibile in foto) in quanto l'ingombro stesso del mio corpo impediva alle braccia movimenti più ampi di quelli necessari.

 

Tecnica di tracciatura delle sezioni ottagonali.


Fatto questo sui quattro lati, ho deciso di procedere ancora con la sbozzatura, addolcendo gli spigoli del profilo della lancia.

Con l'aiuto di sagome quadrate delle dimensioni delle sezione del legno sagomato ho quindi tracciato le linee che permettevano di individuare una sezione ottagonale che è stata lavorata ancora a colpi di scure.

 

A: La quadratura sullo spigolo.

B: Sbozzatura a sezione ottagonale della lancia terminata.


Prima di procedere con un ulteriore addolcimento delle linee con le pialle, ho delineato le due sezioni circolari alle estremità, lavorando con un coltello a due manici.

Questo mi ha garantito che la successiva azione delle pialle non andasse a “snaturare” la direzione dell'asse della lancia tracciata inizialmente.

 

A: L'utilizzo del coltello a due manici per arrotondare le estremità.

B: Particolare del manoscritto Hausbuch der Mendelschen Zwölfbrüderstiftung, Amb. 317.2°, Volume 1°, 1438-1451, Norimberga.


Per la piallatura ho iniziato con un piallone di dimensioni piuttosto grandi la cui lunghezza della suola garantiva di lavorare superfici rettilinee piuttosto lunghe, eliminando indesiderati andamenti ondulatori, ho poi proseguito con sbozzini più piccoli ed una pialla un po' più precisa fino ad ottenere la forma voluta.

 

A: Particolare del dipinto di Antonio Vivarini “San Pietro martire guarisce la gamba di un giovane” del 1450, inv. 37.163.4, The Metropolitan Museum of Art, New York.

B: Utilizzo di un piallone per sgrossare le imperfezioni delle superfici nella lancia in lavorazione.


Durante queste operazioni mi sono servito di “anelli” di diametro diverso, utilizzandoli, sia per verificare la circolarità della sezione, che per misurare il calibro nei vari punti in cui calzavano.

Essi sono stati utili anche per controllare la conicità della superficie in lavorazione, attraverso la verifica che a variazioni di calibro uguali corrispondessero identici distanziamenti tra gli anelli.

 

A: Ulteriore sgrossatura con uno sbozzino

B: Il punto di diametro maggiore sul quale andrà realizzata il restringimento per la realizzazione dell'impugnatura.

In entrambe le immagini si possono vedere gli anelli di calibro diversi utilizzati per compiere varie verifiche.


A questo punto, realizzati i due tronchi di cono, ho provveduto a praticare il restringimento che costituisce l'impugnatura della lancia, utilizzando sega, coltello a due manici e scalpello. 

 

Il restringimento che caratterizza il punto di presa.

A: “Segnatura” della profondità da asportare nella zona centrale tramite sega.

B: Arrotondamento della sezione centrale tramite coltello a due manici.

C: Con lo scalpello realizzo le estremità svasate del punto di presa.


La parte di legno della struttura della lancia è stata così terminata.

Il punto di presa finito.


 

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Esistono molte ricerche sulla storia degli scacchi che permettono di indagare i dettagli e le diverse ipotesi sulla loro evoluzione, deducibili dal confronto tra varie fonti: documenti, reperti, iconografie, etc.

 

Un'immagine tratta dal "libro de los Juegos" di afonso X (Sec. XIII)

 

Grazie alla passione che accomuna tutti gli studiosi del settore, che spesso sono portati a collaborare in indagini multidisciplinari con grande onestà intellettuale ed approccio scientifico, è possibile ottenere sempre maggiori informazioni sulla realtà storica che ha lasciato tracce dell'evoluzione di questo gioco.

Nonostante questo, non sempre i resoconti di questi studi sono disponibili a tutti quegli appassionati che hanno interesse ad approfondire la propria conoscenza a riguardo.


Di seguito presento un avvincente analisi di Roberto Cassano dal titolo “I pezzi Shatranj in Italia forme astratte per più di mezzo millennio”.

Tale documento è stato pubblicato nel 2018 sul Yearbook dell'A.S.G.C. .


Ringrazio per la disponibilità l'autore, che ha consentito di divulgarlo, ora, a tutti gli appassionati che seguono questo blog.


Buona lettura!

 

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Come già detto (qui) la dolaora è una corta scure dalla grande lama leggera; uno strumento utilizzato sia per dare forma alle porzioni di legno in lavorazione che per rifinirne le superfici.

 

 

Se di questo utensile esistono diverse varianti con forme e caratteristiche proprie delle diverse tradizioni locali, la dolaora italiana sembra distinguersi per alcune caratteristiche peculiari, tutte interconnesse tra loro, che sono funzionali alla tecnica di utilizzo che l'attrezzo consentiva (leggi qui).

Le testimonianze più dirette relative all'uso di questo specifico arnese ci giungono dal XVIII secolo, ma la particolare forma sembra essersi consolidata antecedentemente ed essere rimasta immutata per molto tempo.

 

Due scuri di età diversa dimostrano che la forma dell'attrezzo è rimasta invariata nel tempo.
 

Non è certo possibile identificare in modo univoco la data di nascita di questa scure, che si sarà sicuramente evoluta lentamente, migliorando pian piano le proprie caratteristiche e di conseguenza le potenzialità d'uso.

Possiamo dire, in base a diversi ritrovamenti, che in epoca romana erano già presenti lame simili, utilizzate come scuri da squadro, ma precise testimonianze delle caratteristiche distintive della dolaora italiana diventano più frequenti in epoca medievale.

Tenendo presente che le proprietà salienti che permettono di identificare questo genere di attrezzo sono:


  • testa a forma prevalentemente rettangolare, immanicata tramite un corto collo posto al centro del ferro,

  • profilo della lama curva che porta ad una forma convessa della faccia che lavora a contatto col legno,

  • manico fortemente disassato bloccato tramite un cuneo removibile all'interno dell'occhio collocato esternamente alla sezione di legno del manico,

  • occhio trapezoidale nella forma più tradizionale dotato di “alette” che permettono una maggior aderenza della combinazione manico/cuneo,

la maggior parte delle rappresentazioni pittoriche risultano di poco interesse, arrivando a testimoniare al più l'utilizzo di strumenti dall'aspetto generale molto simile a quello descritto.

Attraverso queste iconografie si può appurare soltanto che in epoca medievale esistevano scuri leggere dotate di lama molto larga e maneggevole, che permettevano di essere utilizzate servendosi di una sola mano, grazie anche alla presenza di un corto manico.

In A, particolare di un manoscritto del nord d'Italia del XIV secolo (oggi conservato nella Mediatheque d’Arras, ms 252, f.95v.; 

in B particolare tratto dagli statuti della sociatà dei falegnami di Bologna 1248 - 1298, Archivio di Stato di Bologna, Codici Miniati, numm. 1, 2, 5.;

in C particolare della Bibbia Istoriata padovana, ms 212, Genesi, c. 4v, Biblioteca dell''Accademia dei Concordi, Rovigo;

in D  particolare della insegna dei remèri del 1517 (restaurata nel 1619 e nel 1730 senza sostanziali modifiche all'impianto originale), Biblioteca del Museo di Correr di Venezia, classe I, 2100.


 

In pratica esse ci confermano la presenza di attrezzi che rispondono al massiomo al primo dei requisiti sopra citati, senza fornire ragguagli sui successivi.

Ricordando che proprio gli altri tre sono quelli maggiormente significativi riguardo la peculiarità di questa scure, occorre sottolineare quanto essi siano legati tra loro: la lama curva permette un particolare uso grazie alla leva fornita dal manico fortemente disassato, ma nel contempo rende più difficoltosa l'operazione di affilatura per la quale si rende necessario rimuovere l'ingombro fornito dal manico che per questo è fissato con un cuneo esterno.

Antonio Vivarini, “San Pietro martire guarisce la gamba di un giovane”,XV sec., The Metropolitan Museum of Art, New York, inv. 37.163.4


 

Proprio per questo trovo molto interessante la raffigurazione dell'attrezzo di Antonio Vivarini nel dipinto su tavola “San Pietro martire guarisce la gamba ad un giovane” dove si può vedere la scure, dipinta in modo particolareggiato, abbandonata a terra.

Nella dolaora rappresentata si vede chiaramente il cuneo che, posto all'interno dell'occhio, garantisce l'aderenza della testa col manico che, nonostante l'assenza delle alette di supporto, doveva essere pertanto della tipologia removibile.

Altri indizi che possono suggerire particolari interessanti riguardo un uso così remoto della dolaora italiana ci giungono dai bassorilievi del XIII secolo che si trovano a Venezia.

Nell'arcone dei mestieri, che caratterizza il portale maggiore della Basilica di San Marco per esempio, nella sezione dedicata all'arte dei segatori, è rappresentata una scure da squadro di questa tipologia: il manico dell'attrezzo è chiaramente di sezione rettangolare e questa caratteristica ci suggerisce l'idea che anche l'occhio presente nella testa di metallo fosse realizzato in quella forma.

 

Portale Maggiore della Basilica di San Marco di Venezia (XIII sec.)

Ancora più sorprendente è la scultura presente sul Capitello dei carpentieri di Palazzo Ducale, sempre a Venezia, nel quale viene rappresentato un artigiano nell'atto di squadrare, o rifinire, una trave di legno.

Sulla grossa testa dell'utensile che sta utilizzando è possibile notare non solo la sezione rettangolare del manico ma anche la presenza delle alette che possono servono ad aumentare la superficie di contatto tra cuneo removibile e ferro.

Particolare del Capitello dei carpentieri di Palazzo Ducale, Venezia (XIII sec.), in due scatti: a sinistra la foto di G. Sebesta su gentile concessione del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di S. Michele all'Adige (TN), a destra una foto più attuale.
 

Per fortuna esiste una vecchia fotografia (scattata da Sebesta G. e pubblicata ne “La via del Legno”, edito dal MUCGT di S. Michele all'Adige) di questa scultura che, a causa dell'usura, oggi sembra aver perso proprio quei particolari che sono, dal nostro punto di vista, più interessanti.

Nel capitello di palazzo Ducale ci colpisce ancor di più la postura china del carpentiere rappresentato che sembra voler proprio sfruttare al meglio la potenzialità data dalla particolare lama convessa.

Esso non solleva la scure per usare l'impeto cinetico dato dal movimento dell'attrezzo dall'alto, ma sembra lavorare di lato, a stretto contatto col legno; non ci può sfuggire, a questo riguardo, la gamba dell'artigiano il cui interno del ginocchio si appoggiata all'estremità del manico e sembra aiutare lo sforzo delle mani usufruendo della leva fornita del manico disassato.

Potrebbe essere in effetti una rappresentazione tridimensionale della stessa tecnica descritta da Griselini cinque secoli più tardi?

Al di là di quelle che possono essere solo suggestioni personali, la memoria mi porta ad un'altra raffigurazione simile in cui il ginocchio dell'artigiano, in questo caso addirittura seduto sulla trave in lavorazione, sembra voler fornire supporto all'azione: si di tratta un'immagine della Bibbia Istoriata Padovana del XIV secolo che riporto.

 

Particolare della Bibbia Istoriata padovana, ms Add. 15277, Esodo, c. 15v, British Library, Londra.


 

Attraverso posizione e forma del manico, è possibile supporre che attrezzi rappresentati avessero già la caratteristica più emblematica della dolaora: la lama leggermente curvata.

Tale partiolare del resto è riscontrabile anche nelle teste dell'epoca, giunte fino a noi, purtroppo, prive di manico, vista la facile deperibilità del materiale.


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Il gioco degli scacchi in epoca medievale, era diffuso, conosciuto ed apprezzato in diversi ceti della società dell'epoca.

 

Dell'estensione di questa passione esistono, infatti, molteplici testimonianze scritte; senza dover rintracciare citazioni troppo eterogenee tra loro, possiamo rendercene conto dalla semplice lettura delle Novelle III, LXVIII e CLXXXIV del Trecentonovelle di Franco Sacchetti. 

 

Attraverso questi racconti possiamo incontrare, nel ruolo di giocatori di scacchi, rispettivamente: Re Edoardo I d'Inghilterra, il poeta fiorentino Guido Cavalcanti ed un piovano di campagna che gioca con un esponente della nobiltà locale; si tratta di quattro figure completamente differenti tra loro, le loro vicende ci confermano perciò la straordinaria trasversalità con la quale il gioco si diffuse rapidamente a tutti i livelli.

Una così ampia diffusione sicuramente avrà richiesto di produrre pezzi di qualità differente, diversi nell'aspetto, nella foggia, nel pregio della manifattura o nella ricchezza dei materiali utilizzati.


Nella maggior parte dei casi, purtroppo, gli scacchi più poveri, quelli fatti per essere utilizzati quotidianamente, erano realizzati in materiale deperibile (legno) e, non trattandosi di preziosissime opere d'arte destinate ad essere esposte nelle residenze di signori e sovrani, sono andati perduti senza quasi lasciare traccia di se'.

 

Volendo immaginare la forma di questi modesti pezzi che si contendevano la vittoria sulle scacchiere medievali si incappa in un ulteriore difficoltà data dal fatto che ci si trova in un periodo di transizione in cui la stilizzazione degli “shatranj” arabi (leggi qui) cedeva gradualmente il passo alla tecnica della tornitura che avrebbe permesso più avanti, in età rinascimentale, di perfezionare sagome affusolate dai profili eleganti e slanciati (leggi qui).


A questi nuovi pezzi ci si arrivò gradualmente ed è lecito immaginare che per lungo tempo convissero scacchi più o meno ricchi, che erano caratterizzati dai primi interventi di lavorazione al tornio e che mantenevano integri gli aspetti salienti di quelli in foggia araba; cosa che permetteva ai giocatori una immediata identificazione dei vari ruoli.

 

Diverse testimonianze storiche ci portano all'interpretazione di questi scacchi che sembrano essersi attestati su forme paragonabili a quelli rappresentati sul Manoscritto 2871, conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, che è stato datato tra il 1380 ed il 1410. 

 

Nel codice vengono rappresentati Cavalli caratterizzati da una sola sporgenza frontale mentre gli Alfieri conservano il ricordo delle zanne d'elefante con i loro due risalti sul davanti; entrambi sono privi del piede tornito che caratterizza altri pezzi.

Nel Re, al contrario, è ben identificabile la base tornita simile a quella delle torri.

Queste ultime presentano due prominenze sommitali curve, che, poste lateralmente, sporgono verso l'alto arricciandosi poi all'ingiù (Forma che è presente anche nei rocchi rappresentati negli stemmi araldici medievali di diverse famiglie nobiliari italiane).


L'aspetto degli scacchi appena descritti è proprio quello dello straordinario set di pezzi esposto a Villa Villoresi (ex Prato Della Tosa) di Colonnata, frazione del comune di Sesto Fiorentino. 

Gli scacchi di Villa Villoresi originali a confronto con la replica da noi curata.
 

Gli scacchi, realizzati in legno di bosso, fanno parte di una collezione di oggetti di provenienza archeologica di epoca medievale e romana; si tratta di elementi trovarti in loco e conservati nella villa aperta al pubblico in quanto oggi è stata trasformata in un prestigioso albergo.

Nonostante manchino dati certi per una precisa datazione per questo set, diverse congetture li fanno risalire ad un periodo compreso tra la fine del XIII e quella del XIV secolo.

In quel periodo la villa era adibita a fortilizio ed un susseguirsi di eventi bellici causò la ripetuta distruzione della torre ai piedi della quale sembra essere avvenuto il ritrovamento dei pezzi.

Si è portati a credere, infatti, che si sia trattato degli scacchi in dotazione al corpo di guardia chiamato a presidiare il fortilizio, persi in occasione di uno degli assalti storicamente documentati avvenuti nell'arco del secolo che va dal 1260 al 1360, circa.

La replica degli scacchi torniti in fase di lavorazione prima degli interventi d'intaglio
 

Gli scacchi di Villa Villoresi sono in un eccellente stato di conservazione, il legno è stato lavorato al tornio ed i pezzi finiti con semplici interventi d'intaglio, piuttosto sbrigativi e grossolani.

L'intaglio di una torre
 

A distinguerli da oggetti più pregiati, in cui prevale la componente artistica, concorre il fatto che entrambe le formazioni sono realizzate nello stesso materiale, il bosso, tinto successivamente per creare la formazione dei pezzi “neri”.

Sappiamo che all'epoca, nonostante perdurasse l'usanza di tingere i pezzi neri, gli scacchi realizzati in essenze differenti erano considerati più preziosi, proprio perché non tendevano a scolorire con l'usura causata dal loro utilizzo.

Tra i vari pezzi ritrovati che sembrano appartenere allo stesso set se ne aggiungono due di fattezza più curata, si è portati a credere che si tratti degli unici scacchi ritrovati di un secondo set.

La ricostruzione dei due pezzi "estranei".

La straordinaria importanza dell'insieme, in questo caso, non e data dalle lavorazioni di pregio ma proprio da questa manifattura “povera” che ci testimonia lo schietto proposito ludico che caratterizzò il confezionamento di tali oggetti.

A mio avviso il fascino di questi reperti, infatti, sta proprio nella sua sostanziale semplicità e risiede in tutti quei particolari aspetti delle usanze ludiche del periodo che un simile manufatto è in grado di richiamare e testimoniare.


 

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La tecnica per la costruzione di verrette da balestra che ho ipotizzato in un mio recente post (leggi qui) mi è stata suggerita dal reperto di un particolare attrezzo rinvenuto nel relitto della Mary Rose, una nave da battaglia inglese che affondò nel tratto di mare compreso fra l'Isola di Wight e la terraferma il 19 luglio 1545. 

Il relitto è stato successivamente recuperato ed al suo interno sono stati rinvenuti diversi oggetti di uso quotidiano; il loro studio ci può suggerire vividi ragguagli sulla vita a bordo su un vascello da guerra di quell'epoca.

Tra i diversi oggetti ritrovati spiccano alcune pialle ed in particolare due, molto piccole, caratterizzate da una sottile suola di forma concava, hanno attirato la mia attenzione.

 

Sembrerebbero, infatti, proprio nate per arrotondare stecche di legno allo scopo di ottenere dardi e frecce.

 

Per attuare la tecnica descritta nello post dedicato alle frecce ho utilizzato attrezzi la cui esistenza è sicuramente attestata in periodo medievale, fatta eccezione per il passaggio finale per il quale ho usato una sponderuola con lama curva, realizzata da me, in vece di una pialla simile a quelle di cui sto parlando, decisamente più attendibile, storicamente, per quanto tarda .

 

Di uno dei reperti della Mary Rose, in effetti abbiamo fatto una replica, tempo fa. 

La prova di utilizzo della nostra replica


Testandola si è evidenziato come essa potesse essere adatta all'arrotondamento di corpi per frecce del diametro più piccolo rispetto a quello scelto per le munizioni da balestra che ci era stato chiesto di realizzare. 
 

Dovendo quindi ricorrere giocoforza ad un attrezzo differente per dimensioni, abbiamo optato per una sponderuola, confidano nella sostanziale maggior semplicità di realizzazione dell'attrezzo, visto che il nostro scopo principale era quello di ottenere i cilindri per le verrette.

 

Ecco di seguito, invece, il lavoro di ricostruzione del pialletto della Mary Rose che abbiamo realizzato anni fa in legno di bosso, come l'originale.

 

Il corpo della pialla in lavorazione confrontato con il disegno in scala 1:1 dell'originale

La suola concava a raffronto col disegno dell'originale

L'inizio dello scavo della gola

La gola finita

La posizione della bocca a raffronto con i disegni dell'originale
Il profilo della pialla a confronto con la sezione dell'originale

Le proporzioni della lama, ricavata dalla forma del ceppo che la ospiterà

La suola della replica finita con la lama inserita

Una prova di utilizzo

La replica del pialletto





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