Le virgolette usate
per definire il periodo di utilizzo di questo aratro sono d'obbligo
in quanto non si tratta di un attrezzo propriamente caratteristico di
quel preciso momento storico.
L'aratro nasce in
epoca preistorica, quando l'uomo passò da essere
cacciatore/raccoglitore, prevalentemente nomade, ad agricoltore
stanziale.
La possibilità di
intervenire sul terreno, fornita da questo attrezzo, per favorire la
crescita e lo sviluppo delle piante destinate all'alimentazione,
risultò essenziale per lo sviluppo di quei processi che divennero la
base di tutte le tecniche agricole.
L'aratro nacque
pertanto come derivato della zappa, per adeguarsi alla possibilità
di sfruttare la trazione animale in vece di quella umana.
Per molti secoli
esso si presentò, quindi, in forma simmetrica, per aprire un solco
spingendo esternamente da entrambi i lati la terra, così come
lavorava il primitivo ramo uncinato spinto dall'uomo ai primordi.
Il vomere vero e
proprio dell'aratro veniva protetto dall'usura dapprima con una
pietra in selce, copertura che si evolvette gradualmente, man mano
che si svilupparono le tecniche di lavorazione dei metalli, fino a
generare l'aratro detto “a chiodo”.
Quindi, anche in
base all'interpretazione di diverse immagini del periodo, questo
doveva essere l'aspetto di un aratro in epoca medievale.
Un pesante coltello
è inserito nella stanga (detta bure) in modo da precedere l'azione
del vomere vero e proprio, anch'esso rinforzato da una piastra
metallica orizzontale a forma di punta di lancia.
Una o due stegole
poste nella parte posteriore garantiscono all'uomo la possibilità di
controllare l'attrezzo durante il suo impiego.
Un uncino
all'estremità anteriore del bure fornisce la possibilità di fissare
l'aratro all'anello centrale del giogo, realizzato in legno dolce per
non danneggiare il garrese dei buoi.
Un cavicchio
fornisce la possibilità di vincolare con angolatura variabile il
bure e il vomere, grazie ad una serie di buchi posti su una staffa
che fa da collegamento tra i due pezzi incernierati.
Questo
espediente permette di variare l'inclinazione di lavoro, operazione
necessaria per adattare l'attrezzo ad ogni tipo di campo, in base
alle caratteristiche di compattezza, durezza, malleabilità,
viscosità o friabilità del terreno.
Sebbene già Plinio
il Vecchio testimoni l'usanza, nei primi anni della nostra era, di
fissare il timone dell'aratro sull'assale di un carrello a due ruote,
aratri come questo, privi di tale espediente che serviva più che
altro ad aumentarne la stabilità, sono in effetti stati utilizzati
fino all'epoca moderna, resistendo, pressoché invariati, a tutte le
innovazioni che si sono succedute nei secoli.
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