Gli scacchi nel XIV secolo: non solo un gioco gentilizio.

Il gioco degli scacchi in epoca medievale, era diffuso, conosciuto ed apprezzato in diversi ceti della società dell'epoca.

 

Dell'estensione di questa passione esistono, infatti, molteplici testimonianze scritte; senza dover rintracciare citazioni troppo eterogenee tra loro, possiamo rendercene conto dalla semplice lettura delle Novelle III, LXVIII e CLXXXIV del Trecentonovelle di Franco Sacchetti. 

 

Attraverso questi racconti possiamo incontrare, nel ruolo di giocatori di scacchi, rispettivamente: Re Edoardo I d'Inghilterra, il poeta fiorentino Guido Cavalcanti ed un piovano di campagna che gioca con un esponente della nobiltà locale; si tratta di quattro figure completamente differenti tra loro, le loro vicende ci confermano perciò la straordinaria trasversalità con la quale il gioco si diffuse rapidamente a tutti i livelli.

Una così ampia diffusione sicuramente avrà richiesto di produrre pezzi di qualità differente, diversi nell'aspetto, nella foggia, nel pregio della manifattura o nella ricchezza dei materiali utilizzati.


Nella maggior parte dei casi, purtroppo, gli scacchi più poveri, quelli fatti per essere utilizzati quotidianamente, erano realizzati in materiale deperibile (legno) e, non trattandosi di preziosissime opere d'arte destinate ad essere esposte nelle residenze di signori e sovrani, sono andati perduti senza quasi lasciare traccia di se'.

 

Volendo immaginare la forma di questi modesti pezzi che si contendevano la vittoria sulle scacchiere medievali si incappa in un ulteriore difficoltà data dal fatto che ci si trova in un periodo di transizione in cui la stilizzazione degli “shatranj” arabi (leggi qui) cedeva gradualmente il passo alla tecnica della tornitura che avrebbe permesso più avanti, in età rinascimentale, di perfezionare sagome affusolate dai profili eleganti e slanciati (leggi qui).


A questi nuovi pezzi ci si arrivò gradualmente ed è lecito immaginare che per lungo tempo convissero scacchi più o meno ricchi, che erano caratterizzati dai primi interventi di lavorazione al tornio e che mantenevano integri gli aspetti salienti di quelli in foggia araba; cosa che permetteva ai giocatori una immediata identificazione dei vari ruoli.

 

Diverse testimonianze storiche ci portano all'interpretazione di questi scacchi che sembrano essersi attestati su forme paragonabili a quelli rappresentati sul Manoscritto 2871, conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, che è stato datato tra il 1380 ed il 1410. 

 

Nel codice vengono rappresentati Cavalli caratterizzati da una sola sporgenza frontale mentre gli Alfieri conservano il ricordo delle zanne d'elefante con i loro due risalti sul davanti; entrambi sono privi del piede tornito che caratterizza altri pezzi.

Nel Re, al contrario, è ben identificabile la base tornita simile a quella delle torri.

Queste ultime presentano due prominenze sommitali curve, che, poste lateralmente, sporgono verso l'alto arricciandosi poi all'ingiù (Forma che è presente anche nei rocchi rappresentati negli stemmi araldici medievali di diverse famiglie nobiliari italiane).


L'aspetto degli scacchi appena descritti è proprio quello dello straordinario set di pezzi esposto a Villa Villoresi (ex Prato Della Tosa) di Colonnata, frazione del comune di Sesto Fiorentino. 

Gli scacchi di Villa Villoresi originali a confronto con la replica da noi curata.
 

Questi scacchi, realizzati in legno di bosso, fanno parte di una collezione di oggetti di provenienza archeologica di epoca medievale e romana; si tratta di elementi trovarti in loco e conservati nella villa aperta al pubblico in quanto oggi è stata trasformata in un prestigioso albergo.

Nonostante manchino dati certi per una precisa datazione per questo set, diverse congetture li fanno risalire ad un periodo compreso tra la fine del XIII e quella del XIV secolo.

In quel periodo la villa era adibita a fortilizio ed un susseguirsi di eventi bellici causò la ripetuta distruzione della torre ai piedi della quale sembra essere avvenuto il ritrovamento dei pezzi.

Si è portati a credere, infatti, che si sia trattato degli scacchi in dotazione al corpo di guardia chiamato a presidiare il fortilizio, persi in occasione di uno degli assalti storicamente documentati avvenuti nell'arco del secolo che va dal 1260 al 1360, circa.

La replica degli scacchi torniti in fase di lavorazione prima degli interventi d'intaglio
 

Gli scacchi di Villa Villoresi sono in un eccellente stato di conservazione, il legno è stato lavorato al tornio ed i pezzi finiti con semplici interventi d'intaglio, piuttosto sbrigativi e grossolani.

L'intaglio di una torre
 

A distinguerli da oggetti più pregiati, in cui prevale la componente artistica, concorre il fatto che entrambe le formazioni sono realizzate nello stesso materiale, il bosso, tinto successivamente per creare la formazione dei pezzi “neri”.

Sappiamo che all'epoca, nonostante perdurasse l'usanza di tingere i pezzi neri, gli scacchi realizzati in essenze differenti erano considerati più preziosi, proprio perché non tendevano a scolorire con l'usura causata dal loro utilizzo.

Tra i vari pezzi ritrovati che sembrano appartenere allo stesso set se ne aggiungono due di fattezza più curata, si è portati a credere che si tratti degli unici scacchi ritrovati di un secondo set.

La ricostruzione dei due pezzi "estranei".

La straordinaria importanza dell'insieme, in questo caso, non e data dalle lavorazioni di pregio ma proprio da questa manifattura “povera” che ci testimonia lo schietto proposito ludico che caratterizzò il confezionamento di tali oggetti.

A mio avviso il fascino di questi reperti, infatti, sta proprio nella sua sostanziale semplicità e risiede in tutti quei particolari aspetti delle usanze ludiche del periodo che un simile manufatto è in grado di richiamare e testimoniare.


 

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