La dolaora nel medioevo: cosa dicono le raffigurazioni dell'epoca.

Come già detto (qui) la dolaora è una corta scure dalla grande lama leggera; uno strumento utilizzato sia per dare forma alle porzioni di legno in lavorazione che per rifinirne le superfici.

 

 

Se di questo utensile esistono diverse varianti con forme e caratteristiche proprie delle diverse tradizioni locali, la dolaora italiana sembra distinguersi per alcune caratteristiche peculiari, tutte interconnesse tra loro, che sono funzionali alla tecnica di utilizzo che l'attrezzo consentiva (leggi qui).

Le testimonianze più dirette relative all'uso di questo specifico arnese ci giungono dal XVIII secolo, ma la particolare forma sembra essersi consolidata antecedentemente ed essere rimasta immutata per molto tempo.

 

Due scuri di età diversa dimostrano che la forma dell'attrezzo è rimasta invariata nel tempo.
 

Non è certo possibile identificare in modo univoco la data di nascita di questa scure, che si sarà sicuramente evoluta lentamente, migliorando pian piano le proprie caratteristiche e di conseguenza le potenzialità d'uso.

Possiamo dire, in base a diversi ritrovamenti, che in epoca romana erano già presenti lame simili, utilizzate come scuri da squadro, ma precise testimonianze delle caratteristiche distintive della dolaora italiana diventano più frequenti in epoca medievale.

Tenendo presente che le proprietà salienti che permettono di identificare questo genere di attrezzo sono:


  • testa a forma prevalentemente rettangolare, immanicata tramite un corto collo posto al centro del ferro,

  • profilo della lama curva che porta ad una forma convessa della faccia che lavora a contatto col legno,

  • manico fortemente disassato bloccato tramite un cuneo removibile all'interno dell'occhio collocato esternamente alla sezione di legno del manico,

  • occhio trapezoidale nella forma più tradizionale dotato di “alette” che permettono una maggior aderenza della combinazione manico/cuneo,

la maggior parte delle rappresentazioni pittoriche risultano di poco interesse, arrivando a testimoniare al più l'utilizzo di strumenti dall'aspetto generale molto simile a quello descritto.

Attraverso queste iconografie si può appurare soltanto che in epoca medievale esistevano scuri leggere dotate di lama molto larga e maneggevole, che permettevano di essere utilizzate servendosi di una sola mano, grazie anche alla presenza di un corto manico.

In A, particolare di un manoscritto del nord d'Italia del XIV secolo (oggi conservato nella Mediatheque d’Arras, ms 252, f.95v.; 

in B particolare tratto dagli statuti della società dei falegnami di Bologna 1248 - 1298, Archivio di Stato di Bologna, Codici Miniati, numm. 1, 2, 5.;

in C particolare della Bibbia Istoriata padovana, ms 212, Genesi, c. 4v, Biblioteca dell''Accademia dei Concordi, Rovigo;

in D  particolare della insegna dei remèri del 1517 (restaurata nel 1619 e nel 1730 senza sostanziali modifiche all'impianto originale), Biblioteca del Museo di Correr di Venezia, classe I, 2100.


 

In pratica esse ci confermano la presenza di attrezzi che rispondono al massiomo al primo dei requisiti sopra citati, senza fornire ragguagli sui successivi.

Ricordando che proprio gli altri tre sono quelli maggiormente significativi riguardo la peculiarità di questa scure, occorre sottolineare quanto essi siano legati tra loro: la lama curva permette un particolare uso grazie alla leva fornita dal manico fortemente disassato, ma nel contempo rende più difficoltosa l'operazione di affilatura per la quale si rende necessario rimuovere l'ingombro fornito dal manico che per questo è fissato con un cuneo esterno.

Antonio Vivarini, “San Pietro martire guarisce la gamba di un giovane”,XV sec., The Metropolitan Museum of Art, New York, inv. 37.163.4


 

Proprio per questo trovo molto interessante la raffigurazione dell'attrezzo di Antonio Vivarini nel dipinto su tavola “San Pietro martire guarisce la gamba ad un giovane” dove si può vedere la scure, dipinta in modo particolareggiato, abbandonata a terra.

Nella dolaora rappresentata si vede chiaramente il cuneo che, posto all'interno dell'occhio, garantisce l'aderenza della testa col manico che, nonostante l'assenza delle alette di supporto, doveva essere pertanto della tipologia removibile.

Altri indizi che possono suggerire particolari interessanti riguardo un uso così remoto della dolaora italiana ci giungono dai bassorilievi del XIII secolo che si trovano a Venezia.

Nell'arcone dei mestieri, che caratterizza il portale maggiore della Basilica di San Marco per esempio, nella sezione dedicata all'arte dei segatori, è rappresentata una scure da squadro di questa tipologia: il manico dell'attrezzo è chiaramente di sezione rettangolare e questa caratteristica ci suggerisce l'idea che anche l'occhio presente nella testa di metallo fosse realizzato in quella forma.

 

Portale Maggiore della Basilica di San Marco di Venezia (XIII sec.)

Ancora più sorprendente è la scultura presente sul Capitello dei carpentieri di Palazzo Ducale, sempre a Venezia, nel quale viene rappresentato un artigiano nell'atto di squadrare, o rifinire, una trave di legno.

Sulla grossa testa dell'utensile che sta utilizzando è possibile notare non solo la sezione rettangolare del manico ma anche la presenza delle alette che possono servono ad aumentare la superficie di contatto tra cuneo removibile e ferro.

Particolare del Capitello dei carpentieri di Palazzo Ducale, Venezia (XIII sec.), in due scatti: a sinistra la foto di G. Sebesta su gentile concessione del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di S. Michele all'Adige (TN), a destra una foto più attuale.
 

Per fortuna esiste una vecchia fotografia (scattata da Sebesta G. e pubblicata ne “La via del Legno”, edito dal MUCGT di S. Michele all'Adige) di questa scultura che, a causa dell'usura, oggi sembra aver perso proprio quei particolari che sono, dal nostro punto di vista, più interessanti.

Nel capitello di palazzo Ducale ci colpisce ancor di più la postura china del carpentiere rappresentato che sembra voler proprio sfruttare al meglio la potenzialità data dalla particolare lama convessa.

Esso non solleva la scure per usare l'impeto cinetico dato dal movimento dell'attrezzo dall'alto, ma sembra lavorare di lato, a stretto contatto col legno; non ci può sfuggire, a questo riguardo, la gamba dell'artigiano il cui interno del ginocchio si appoggiata all'estremità del manico e sembra aiutare lo sforzo delle mani usufruendo della leva fornita del manico disassato.

Potrebbe essere in effetti una rappresentazione tridimensionale della stessa tecnica descritta da Griselini cinque secoli più tardi?

Al di là di quelle che possono essere solo suggestioni personali, la memoria mi porta ad un'altra raffigurazione simile in cui il ginocchio dell'artigiano, in questo caso addirittura seduto sulla trave in lavorazione, sembra voler fornire supporto all'azione: si di tratta un'immagine della Bibbia Istoriata Padovana del XIV secolo che riporto.

 

Particolare della Bibbia Istoriata padovana, ms Add. 15277, Esodo, c. 15v, British Library, Londra.


 

Attraverso posizione e forma del manico, è possibile supporre che attrezzi rappresentati avessero già la caratteristica più emblematica della dolaora: la lama leggermente curvata.

Tale partiolare del resto è riscontrabile anche nelle teste dell'epoca, giunte fino a noi, purtroppo, prive di manico, vista la facile deperibilità del materiale.


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