La dolaora italiana, una scure da squadro particolare.

Negli ultimi post dedicati alle scuri da squadro (leggi qui) avevo tentato un raffronto tra due diversi attrezzi provenienti da tradizioni territoriali differenti.
Ne è nato un'interessante scambio di vedute tra cultori ed esperti di questo genere d'utensile che ha reso evidente come la categorizzazione non sia così assoluta e come non esitano termini universali per definire compiutamente ogni genere di scure o l'uso che di esse veniva fatto.
Il confronto da me presentato in precedenza riporta, a prescindere, un errore formale di base, in quanto le breitbeil, più pesanti e robuste, venivano utilizzate sicuramente per un lavoro di sgrosso della superficie lignea, mentre la dolaora era un attrezzo più appropriato ad una lavorazione di rifinitura delle stesse.
Lo stesso termine dolaora (come l'analogo francese doloire) ci suggerisce questa funzione dell'utensile, essendo derivato dal verbo “dolare” che significa lisciare, piallare, ripulire.

Le due scuri con caratteristiche analoghe che oggetto delle considerazioni riportate.
In questo post vorrei analizzare, quindi, le particolarità che accomunano alcuni di questi strumenti da rifinitura, utilizzando due esemplari in mio possesso; chiaramente gli elementi strutturali e le considerazioni che ne conseguono sono estendibili a molti altri attrezzi analoghi.
Le due scuri in questione sono entrambe “da lato”, e presentano il bisello sulla faccia destra della lama (leggi qui).
Sono entrambe molto leggere e questo particolare può essere un ulteriore indizio riguardo al fatto che venissero utilizzate prevalentemente per funzioni di rifinitura; pur presentando caratteristiche differenti hanno alcuni tratti comuni che possono fornirci altre interessanti considerazioni sul loro utilizzo.
Il dato più significativo, a mio avviso, è fornito dalla forma della lama che si presenta convessa sulla superficie che lavora a contatto col legno.

Il profilo convesso delle due lame.
Questo permette di staccare compiutamente trucioli sottili grazie al fatto che, in assetto da lavoro, le estremità della lama risultano “affiorare” dalla superficie in lavorazione in cui il tagliente affonda.
La stessa cosa, come già detto nel post citato inizialmente, si può ottenere anche con una lama completamente piatta a condizione che il bisello e la conseguente affilatura compiano un arco sulla superficie della lama.
Quello che cambia nei due casi è il movimento che per imprimere maggiore efficacia al filo del tagliente occorre far eseguire alla testa dell'attrezzo.
In caso di lavorazioni di rifinitura non si utilizza l'inerzia della testa sferrando colpi in modo dinamico, ma si agisce, lavorando traverso vena, partendo praticamente con l'attrezzo fermo, appoggiato sulla superficie in lavorazione, avendo cura di aiutare l'azione della lama grazie ad un movimento di scorrimento del filo.
All'atto pratico risulta evidente, in questo caso, come le due tipologie di scure (lama dritta e lama convessa) richiedano movimenti del tutto differenti.

Il movimento di scorrimento di una lama dritta compie un arco parallelo alla superficie di lavorazione.
La lama dritta, infatti, richiederà un movimento che, assecondando l'arco del filo del tagliente, dovrà essere prevalentemente parallelo alla superficie in lavorazione; la lama convessa, al contrario richiederà un movimento prevalentemente ortogonale alla stessa.

La lama curva richiede un movimento "ad arco" perpendicolare alla superficie di lavorazione.
 Il funzionamento ottimale di una lama convessa sembra richiedere, insomma, un'azione combinata di due forze: una pressione esercitata sul manico che si somma ad un movimento di accompagnamento durante l'azione della lama.
Sulle dolaore italiane, l'inclinazione del manico, originariamente ricavata per portare in sicurezza le nocche dell'operatore, allontanandole da un'accidentale contatto con la superficie, finisce per essere d'aiuto nel movimento da imprimere allo strumento un quanto fornisce una leva molto efficace (questo potrebbe essere anche il motivo per cui su alcuni esemplari questa inclinazione risulta davvero esasperata).
La prominenza arrotondata sulla sommità frontale della testa, del resto, sembra pensata per fornire un valido appiglio alla mano sinistra, che permette di assecondare il naturale movimento d'uscita della lama.
Schema raffigurante l'azione combinata delle forze che permette il controllo sull'attrezzo.

Abbandonando l'impostazione puramente sperimentale, a testimoniare l'effettivo uso di questa prassi, nell'utilizzo di simili attrezzi, ci viene in aiuto il testo del XVIII secolo “Dizionario delle arti e de' mestieri compilato da Francesco Griselini” (tomo 3°), Venezia 1768, di cui riporto un passo che descrive l'azione di un bottaio:

[...] Egli (il bottaio) ne diminuisce la di lei (doga) grossezza colla dolaora, ne toglie l'inuguaglianze, e la spiana, tagliando sempre il legno per traverso.
Il bottaio disgrossa appoggiando l'estremità del manico della dolaora sulla sua coscia, mentre egli posa l'indice sul manico stesso dell'utensile. La sua mano serve principalmente a dirigere la medesima dolaora, ed il moto che l'operaio dà alla sua coscia, il qual moto accordasi con quello del suo polso, agevola grandemente tal operazione, che non poca desterità richiede. [...]”

Il testo documenta, avvalorando la tesi fin qui esposta, l'usanza di utilizzare addirittura la gamba in appoggio sull'estremità del manico per imprimere forza maggiore alla “torsione” dell'attrezzo, cosa che, in caso dell'utilizzo prolungato che la professione richiedeva, risultava di indubbio vantaggio, sgravando in parte le braccia da sforzi eccessivi o continuativi.

Utilizzo della spinta della gamba per azionare la dolaora.
Personalmente non mi rassegno all'idea che pratiche lavorative come questa, che richiedono la destrezza dell'operatore ed attrezzi particolari, sviluppati nei secoli per avere maggior efficacia e minor dispendio d'energia, siano destinate a scomparire dalla nostra memoria.
Si tratta di lavorazioni che richiedono molteplici competenze ed un bagaglio di esperienze composto da un'infinità di piccoli particolari che, a dispetto della loro effettiva efficacia, una volta smarriti potrebbero risultare malauguratamente persi per sempre.

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