Lastronature: la struttura degli scudi laminati

L'aggettivo “laminato” in questo caso viene designato a definire un corpo costituito da sottili strati sovrapposti.

 

 

Reperti di scudi realizzati in questo modo, in Italia, ci giungono da diverse epoche del passato, da quella Classica fino al Rinascimento compiuto.

Ovviamente più indietro si va nel tempo e più le testimonianze si fanno rade, ma è ben attestato l'uso di lastronature di legno, impiegate già nell'antichità, anche per realizzare pezzi di arredo che potremmo definire “impiallacciati” con superfici intarsiate.

Le lastronature in questione sono sottili tavolette di legno tagliate dello spessore dell'ordine di qualche millimetro; proprio questa loro caratteristica le distingue dai piallacci veri e propri (utilizzati in tempi più moderni) che hanno spessori inferiori al millimetro.

L'utilizzo di lastronature ci testimonia un'elevata capacità tecnica delle maestranze di epoca romana che riuscivano ad ottenere queste particolari sottili porzioni di legno, consentendo diversi vantaggi nella realizzazione di varie tipologie di manufatti.

L'utilizo di lastronature per ricostruire la struttura di uno scutum romano.
 

Nel caso degli arredi, per esempio, ricorrere a questa tecnica dava la possibilità di ridurre lo spreco del prezioso materiale in uso, permettendo l'utilizzo di alburno per la realizzazione di mobili che potevano poi essere ricoperti con i sottili strati di durame.

In assenza di questa tecnica l'alburno, meno pregiato e più soggetto all'attacco di muffe e parassiti sarebbe stato scartato e l'intera struttura del mobile si sarebbe dovuta realizzare in durame di valore, con uno spreco di materiale eccessivo.

Nel caso degli scudi, l'utilizzo di lastronature permetteva di sovrapporre più strati di legno con orientamento delle venature incrociato, in modo da ottenere manufatti più resistenti, elastici e meno soggetti a spaccature e fenditure rispetto a quelli realizzati con semplici doghe accostate (di cui ho scritto qui).

 

Strati incrociati di lastronature messe in forma per uno scudo a calotta sferica.

Proprio questo attributo degli scudi laminati (gli strati sovrapposti con la disposizione delle fibre incrociate) ha favorito l'equivoco frequente che li vede paragonati al compensato; sostanza che differisce da un laminato di lastronature proprio per la tecnica utilizzata nel recuperare la materia da impiegare.

Le sottili tavolette erano ottenute nell'antichità semplicemente segando con precisione la porzione utile da un travetto di legno massiccio, mentre i fogli che costituiscono gli strati del compensato (così come quelli del multistrato) sono oggi ottenuti “sfogliando” un tronco messo in rotazione.

Schematizzazione delle due differenti tecniche di approvvigionamento di materiale.
Questi ultimi risultano pertanto formati da fibre ormai prive della consistenza e della portanza caratteristica del materiale d'origine; ne consegue la formazione di pannelli molto meno elastici e più pesanti rispetto a quelli ottenuti con la prassi del passato.

 

Del resto, la presenza di scudi realizzati mediante lastronature in piena epoca medievale, come lo scudo del XIV secolo donato da Ronald S. Lauder al Met Museum (link al reperto), ci lascia intuire che in alcune zone d'Italia, la capacità, acquisita nell'antichità, di lavorare il legno in questo modo, potesse non essere del tutto persa, seppur il suo ricorso venisse circoscritto ad alcune tipologie di attrezzature difensive.

 

Le testimonianze dell'impiego di lastronature nel Rinascimento si fanno decisamente più frequenti, sia per lo sviluppo di sempre più sofisticati intarsi che vedono applicare la tecnica del disegno prospettico, al posto di semplici decori geometrici frequenti in epoca classica, sia per il loro utilizzo per la realizzazione di scudi e rotelle bombate.

 

Il lavoro che andrò descrivendo è stato sviluppato proprio per la ricostruzione di questi scudi a forma di calotta sferica.

In base a diversi reperti possiamo dedurre le misure più frequenti: il diametro che può variare dai 50 ai 70 centimetri, la larghezza delle singole doghe che varia da 60 ai 90 mm circa, il loro spessore che possiamo considerare compreso tra i 4 ed i 9 mm, il raggio di curvatura indicativamente di 40 cm o l'angolo di curvatura che si attesta su diversi modelli tra i 30 ed i 65 °.

Il peso finale, misurato su diversi reperti appartenenti ad un arco temporale tra il XV ed il XVII secolo, risulta variare tra il chilo e mezzo ed i tre chili e mezzo.

Il legni utilizzati erano sempre leggeri: il pioppo, il salice bianco, più raramente il fico.

 

Il primo passo è quindi stato quello di realizzare uno “stampo” a forma di calotta sferica avente il raggio di curvatura desiderato.

Ho scelto di utilizzare uno stampo concavo perché, in base alle esperienze passate, sono portato a credere che sia più funzionale al corretto posizionamento delle doghe rispetto ad uno stampo di forma convessa.

Per farlo, risparmiando materiale rispetto allo scavo di un blocco massiccio (anche di difficile reperimento nelle proporzioni occorrenti), ho utilizzato diversi strati di legno di pioppo. 

Le fasi della realizzazione dello stampo schematizzate. In A la situazione prima dello scavo della forma. In B, la situazione dopo l'asportazione del materiale in eccesso.
 

Vi ho segato delle aperture circolari di diametro tale che il punto di incollaggio tra i vari strati mi fungesse da linea di riferimento per la calotta che volevo ottenere.

Un foro centrale mi fungeva da riferimento per la profondità dello scavo che è stato realizzato grazie ad un'ascia dal profilo convesso.

La forma della calotta è quindi stata perfezionata con una pialla dotata di suola curva.

 

 

Una volta fatto lo stampo ho calcolato la forma profilata delle doghe, che, per accostarsi perfettamente sulla concavità appena finita, dovevano ricalcare la forma dei fusi che compongono la superficie sferica avente il raggio di curvatura scelto per lo stampo.

 

Ho realizzato una dima con la forma che mi ha permesso di tracciare il profilo di tutte le doghe, rastremate successivamente con una scure dolaora.

 

 

Le doghe così ottenute sono state successivamente piegate grazie all'immersione in acqua bollente; questo passaggio si è reso necessario dopo diverse prove fallimentari nelle quali non riuscivo ad ottenere una perfetta aderenza su tutta la superficie dei vari strati.

 

Doghe poste ad asciugare in forma, inluogo arieggiatto all'ombra.

Poste ad asciugare su apposite dime curve le doghe hanno così preso la forma congeniale alla realizzazione della calotta già prima di venire incollate nello stampo.

 

 

Una volta incollati i vari strati di legno ho sagomato la forma circolare dello scudo che era quindi pronto a ricevere il materiale di rivestimento che caratterizza i reperti originali.

 


 

Ho fatto particolare attenzione al posizionamento delle pelle sull'interno dello scudo, operazione che ha presentato diverse criticità già in altri lavori precedenti.

Volevo evitare che la pergamena si staccasse dalla superficie creando, col variare dell'umidità, delle bolle di distaccamento che avrebbero potuto compromettere o alterare l'elasticità e la solidità del manufatto.

Per questo, una volta bagnata l'ho messa in forma sulla superficie convessa dello scudo stesso; una volta asciutta è stata incollata all'interno.

Lo stesso procedimento mi ha permesso di collocare per la pelle esterna, prima di incollare la quale si è provveduto al posizionamento di cinghie e cuscino, fissati con chiodi ribattuti sul davanti.

 


 

La pelle esterna è stata poi ricoperta, dopo l'incollaggio, con tessuto di lino e cinque mani di gesso di Bologna.

 



La nostra ricostruzione, successivamente dipinta con i motivi presenti su una rotella conservata al Museo di Lucerna (Svizzera), ha il diametro di circa 60 cm e pesa 2,2 Kg.

 



Ecco il risultato finale:

 


 


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